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Società

La lotta tra sovranità e globalizzazione: il nuovo conflitto sociale del XXI secolo

“A causa dello sfrenato ottimismo dell’epoca, la globalizzazione degli anni Novanta veniva utilizzata come parola d’ordine appena concepita: il pessimismo del mio saggio era profondamente alienante, se non addirittura aberrante, per molti. Il titolo scelto dall’editore diceva tutto: ‘L’anarchia in arrivo”. Così scrive sul National Interest Robert Kaplan, saggista di fama internazionale e senior fellow al Center for New American Security di Washington.

Ed effettivamente in un mondo sempre più globalizzato e “interconnesso”, che ci rende tutti attivamente partecipi della vita politica quanto della vita quotidiana stessa e che ci vede in un modo o nell’altro tutti protagonisti e artefici del nostro destino; dove l’informazione ha preso sempre più il sopravvento dandoci quella sensazione di estremo controllo sulle nostre vite, bisognerebbe chiedersi cosa, al giorno d’oggi, potrebbe minare quelle stesse convinzioni. Convinzioni che oramai assumono sempre più il concetto di un archetipo ben saldo e intrinseco nella nostra persona e nel nostro modo di vivere la comunità, intesa essa stessa come concetto di vita pubblica e di pubblico dominio, con tutte le responsabilità che questo comporta.

In quanto cittadini comunitari dovremmo prenderne atto e riflettere su quest’ultime, senza soffermarci sulle sole logiche – a tratti superficiali – della politica, che ne è solo un mero riflesso. Non bisognerebbe dimenticarsi infatti che prenderne piena coscienza ci renderebbe partecipi non solo alla vita politica, ma a tutta una serie di fatti più intrinsechi; anche al di là del nostro piccolo orticello. Ma si sa: l’educazione civica e l’insegnamento dell’etica oramai è andata via via perdendosi, a seconda dei vari ordinamenti scolastici. Ma è anche vero che forse i mass media non farebbero abbastanza per sensibilizzare l’opinione pubblica a determinate questioni. Che ancora una volta sembriamo ignorare.

A detta di ciò, in che misura il concetto di “guerra civile globale” è in grado di rendere conto delle tensioni, dei conflitti e delle trasformazioni tanto all’interno della nostra società, quanto nel pianeta globalizzato? In che misura il concetto di “guerra civile” (inteso originariamente come conflitto combattuto all’interno di uno Stato) permette una percezione più realistica di un mondo che, come quello occidentale, pretende di vivere in pace, almeno fin dal 1945? E’ solo frutto di strumentalizzazioni o  strategie della tensione – pasoliniane – di un conflitto che vorrebbe uno scontro tra culture per condizionare le stesse opinioni pubbliche e costringerle nella logica della paura?

Ad oggi non esiste una risposta certa. Ma se si dovesse porre un excursus storico che riguardasse la stessa concezione di guerra dalle origini della cultura occidentale, dovremmo affrontare l’argomento partendo dalla più antica testimonianza a noi pervenuta: quella della guerra di Troia.

Un evento decisivo, in quella netta distinzione fra oriente e occidente, che segnerebbe quel confine epocale fra preistoria e storia. Fra tradizione orale e cultura scritta. Una vicenda che ha plasmato la nostra cultura, che tuttavia ci è rimasta a livello inconscio, nelle gesta e nella grandiosità di quelle vicende e di quel mito, dal punto di vista simbolico, ma non solo: gli “eroi” della guerra,  assurti a paradigmi di virtù e valori; dal coraggio di Achille all’astuzia di Odisseo, alla regalità di Priamo, che più e più volte ci ha accompagnato fin da piccoli, nei racconti dell’ Iliade e dell’Odissea, tanto amati e miticizzati, hanno costituito una delle basi fondanti della nostra cultura. E forse oggi potremmo realmente affermare che la nascita stessa dell’Europa, come realtà politica e culturale, sia una conseguenza di quella stessa guerra.

Una guerra che secondo recenti studi – e solo al giorno d’oggi – si scopre essere stata combattuta semplicemente per un fantasma: un’idea nata dalla convinzione che alla base della guerra di Troia non vi fosse una reale ragione, se non quella fatta di pretesti, di illusioni prive di consistenze reali, ma che tuttavia riflettesse una convinzione largamente condivisa: quella secondo la quale la guerra sarebbe essenzialmente un fenomeno irrazionale.

Una sorta di deplorevole deviazione della razionalità umana, la quale farebbe presupporre che ancora una volta, fra guerra e ragione sembrerebbe sussistere un rapporto di mutua esclusione. Un assunto che si afferma nella storia e nella tradizione occidentale proprio a seguito delle due grandi guerre mondiali e che al giorno d’oggi vedrebbe (dopo gli eventi della rapida guerra fredda, fatta di provocazioni verbali, mai realmente concrete), l’assecondarsi di una minaccia differente: un conflitto politico-sociale ed economico.

Ma se la guerra da sempre fosse un “evento fondante”, impregnato di valori capaci di dividere fra le barbarie commesse e l’incivilimento e di stabilire giuste gerarchie fra gli uomini, assegnando a ciascuno il ruolo e il rango più adeguato?

Come la definì Omero, sarebbe un male necessario, come principio generativo a conferire formaalle cose. Un principio che fonderebbe il suo valore nell’ira come valore sacrale, divino, come analizzato in quasi tutti i poemi della letteratura occidentale. Come parte delle tragedie, all’interno delle quali si vedono nascere nuove dinastie, nuove civiltà. 

Forse in tutto questo troveremmo una nuova concezione della natura umana. Pervenuta dalla storia come materia oggi “scientifica” dalla quale possiamo imparare molto. Come espressione della “ricerca della verità”. Basterebbe pensare che la società nella quale viviamo da sempre si fonda su delitti orrendi e forse, paradossale ma vero, in quel concetto espresso dallo stesso Platone nel rapporto tra politica e guerra.

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La guerra come principio che è all’origine dello stato, fattore di organizzazione in classi della societàdi formazione dei cittadini di uno stato ben costituito. Una guerra da stato a stato, da comunità a comunità, da famiglia a famiglia, da classi a istituzioni in una sorta di principio organizzatore dei rapporti intesi come affermazione dell’identità e rivendicazione degli stessi diritti che tutti ci accomunano. Che contrappone e allo stesso tempo conferisce individualità e senso di appartenenza. Quest’ultime in grado di adattare il mondo a seconda dei nostri stessi bisogni, forzando le costituzioni materiali e relazionali.

Magari servirà ancora del tempo per stabilire un nuovo confronto che sia basato unicamente sul dialogo. E servirà modificare la stessa concezione di “natura dell’uomo“, che nei secoli è cambiata molto, rendendoci più uniti e interconnessi a prescindere dalle relative differenze.
Ma rimarrà tutto solo frutto di una semplice “utopia” o magari, un giorno, sarà futura realtà?

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.