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L'antisemitismo di Mohamed Salah

A ridosso del mercato di riparazione di gennaio, Salah minaccia di lasciare il Liverpool nel caso quest’ultimo decidesse di acquistare l’israeliano Munas Dabbur, attaccante attualmente in forza al Red Bull Salisburgo. Questa indiscrezione, pubblicata dal Jerusalem Post – quotidiano israeliano in lingua inglese – è stata smentita dall’entourage del calciatore egiziano, ma questa presa di posizione sembra più che credibile, anche per quello che racconta il passato.

Nel 2013, Salah militava nel Basilea che doveva affrontare la squadra israeliana del Maccabi Tel Aviv in un doppio scontro per i preliminari di Champions League. Prima dell’inizio della partita di andata, Salah è andato a recuperare gli scarpini che, a detta sua, aveva “sbadatamente” scordato negli spogliatoi. In questo modo evitò la stretta di mano consueta con i giocatori del Maccabi prima del fischio di inizio. Per quanto riguarda la partita di ritorno, invece, l’egiziano disse al club di non voler andare in Israele, ma il Basilea si impose – vista anche l’importanza della posta in palio – e Salah giocò dal primo minuto quella partita. Quella volta si limitò a dare un pugnetto anziché stringere effettivamente la mano, evitando il più possibile ogni contatto cordiale. Chiaramente la questione suscitò delle polemiche.

Polemiche che vennero rispolverate nel 2015, quando si stava concretizzando sempre di più il passaggio di Salah alla Roma. Infatti la comunità ebraica della capitale non gradì l’idea che il calciatore egiziano potesse entrare a far parte della rosa giallorossa, ritenendo Salah un antisemita. In quell’occasione Vittorio Pavoncello, il presidente della Federazione Maccabi Italia, che si occupa di organizzare le attività sportive e culturali nelle comunità ebraiche nel mondo, twittò “No a Salah alla Roma. Non deve esserci spazio per i razzisti. Come potremmo continuare a tifare Roma se dovesse ingaggiare un antisemita?”.

Mohamed Salah è un valido professionista, oltre che essere uno splendido talento del calcio odierno, ma questo suo puntare i piedi verso il suo club in virtù dell’arrivo di un calciatore israeliano fa pensare, in particolar modo sotto due aspetti. Il primo riguarda il razzismo, non c’è altro modo per chiamarlo: a livello culturale, questa è una battaglia non ancora vinta nell’ambiente calcisitico e si mostra in diverse forme come cori razzisti ad un giocatore di colore o come il voler cambiare società, imponendo un “o lui o me” come ultimatum. Probabilmente ci si è già dimenticati che, quasi un anno fa, a Roma sono stati attaccati degli adesivi raffiguranti Anna Frank con la maglia della Roma da parte di alcuni tifosi della Lazio con l’intento di sminuire i rivali giallorossi.

Il secondo riguarda un pezzo di fotografia, un frammento di una realtà di per sé lontana, ma che Salah ha trasportato sui campi di calcio: l’eterno conflitto israeliano-palestinese, mai risolto per davvero e troppo intricato soprattutto a livello identitario, arrivando a toccare anche il mondo del calcio. E non importa se il capitano della nazionale israeliana, Bigras Nathko, è di religione musulmana, proprio come Salah: fin quando anche un campione si limiterà a giudicare una persona solo dalla bandiera, volendo imporre la sua cultura e la sua religione su tutto il resto, il calcio e la pace saranno anni luce distanti dalla loro piena realizzazione.