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Marco Giampaolo: la dedizione e la costanza

Mi piace molto, ma lo hanno esonerato” così Fabio Capello elogiò Marco Giampaolo nel 2009, e in questa frase si può racchiudere quello che è stata un po’ la carriera dell’allenatore abruzzese, tra risultati interessanti e fallimenti non compresi, figli di un calcio pronto ad elogiare i suoi interpreti migliori nel loro momento di gloria, ma anche di affossarli completamente quando subentrano le sconfitte. Tutto questo si può riassumere nella carriera di Giampaolo, che passa per diverse tappe importanti.
Dopo una modesta carriera da calciatore tra serie C e B, conclusasi nel 1997, Giampaolo inizia la sua nuova avventura come osservatore del Pescara nel 2000, diventando poi allenatore in seconda. Dopo aver esercitato lo stesso ruolo nel Giulianova e nel Treviso, diventa allenatore dell’Ascoli nel 2004 e questa è la vera prima tappa del suo percorso. Giampaolo, che aveva una visione diversa e per certi versi anarchica delle regole del calcio italiano, era sprovvisto del patentino di prima categoria che serve per allenare e per questo agli occhi di tutti risultava essere il secondo di Massimo Silva, che prestava il volto e il nome al lavoro del vero tecnico. Al primo anno sulla panchina dei bianconeri, Giampaolo riesce a centrare l’obiettivo dei play-off all’ultima giornata, che a inizio stagione sembrava solo un sogno distante dalla concretezza e nonostante sia stato eliminato in semifinale dal Torino, l’Ascoli viene promosso in serie A, perché nella stagione 2004-05 in serie B succede di tutto: il Genoa, primo classifcato, viene retrocesso all’ultimo posto a causa dello scandalo con il Venezia, mentre il Perugia e lo stesso Torino fallirono. Così l’Ascoli passò da sesto a terzo, guadagnando la promozione nel campionato cadetto. Il vero capolavoro, però, avvenne proprio nella stagione successiva, quando riuscì a raggiungere una salvezza pronosticata impossibile già prima dell’inizio del campionato, soprattutto visto l’organico – tra i più noti Pasquale Foggia, Michele Fini e un acerbo Fabio Quagliarella – non considerato all’altezza dell’obiettivo nemmeno dai propri tifosi. Giampaolo, che nel frattempo subì una squalifica di sei mesi per aver, appunto, allenato senza patentino per poi conseguirlo, fece l’impresa portando alla salvezza il suo Ascoli che si classificò decimo a 43 punti, con 9 vittorie 16 pareggi e 13 sconfitte.
Dopo la favola bianconera, Giampaolo passò per altre tappe un po’ più infelici, tra cui Cagliari nel 2007 dal quale venne cacciato e richiamato dall’allora presidente Cellino, fino alla definitiva rottura durante la stagione successiva nella quale venne di nuovo esonerato e richiamato, ma questa volta rifiutò la chiamata dichiarando “Pur nella consapevolezza del danno economico che ne deriverà, rinuncio a tornare a Cagliari. L’orgoglio e la dignità non hanno prezzo”. Nella stagione 2008-09, Giampaolo viene chiamato alla guida del Siena con cui ottiene la salvezza e, al suo termine, l’allenatore abruzzese è molto vicino a firmare con una Juventus che sta cercando la rifondazione dopo l’esperienza in serie B dovuta a Calciopoli. Queste sono le classiche sliding doors che si possono presentare nella carriera di un allenatore, ma come tali possono prevedere un aspetto negativo, e a Giampaolo venne preferito Ciro Ferrara sulla panchina della Juve e così sfumò forse la sua più grande opportunità della carriera, rimanendoci chiaramente male. Ironia della sorte, Giampaolo venne esonerato dal Siena la stagione successiva e la stessa sorte toccò a Ferrara solo qualche mese più tardi. Negli anni seguenti, le esperienze a Catania e a Cesena terminarono preamturamente, così come quella a Brescia in serie B, stroncata sul nascere a causa prima del mancato apprezzamento della tifoseria per il lavoro di Giampaolo e poi di un clima ostile che costrinse il suo secondo, Fabio Galli, a lasciare la piazza perché, secondo i tifosi, ebbe la grande colpa di essere un ex giocatore della tanto odiata Atalanta. Giampaolo provò a distendere gli animi parlando con gli stessi ultras, ma non andò bene, tanto che disse a un tifoso “Vai da Corioni e digli di esonerarmi”. Dopo la sconfitta col Crotone, i tifosi vollero parlare con l’allenatore, che accettò il confronto solo perché glielo chiese la Digos, per poi sparire, così tanto da far scomodare a momenti “Chi l’ha visto?” e dare le dimissioni.
La svolta, però, parte dal basso, in Lega Pro, quando nel novembre del 2014 diventa l’allenatore della Cremonese – per la prima volta, assume la guida di una squadra a stagione già iniziata – conquistando un buon ottavo posto e lanciando Federico Di Francesco, il figlio di Eusebio. Finita la stagione, in estate passa all’Empoli orfano di Maurizio Sarri – compagno di corso a Coverciano di Giampaolo – andato al Napoli ed è proprio quest’ultimo a consigliare l’ingaggio del tecnico aburzzese al club toscano, rivelandosi azzeccato: i biancoazzurri sono protagonisti di una buonissma stagione, addirittura migliore di quella con Sarri. Giampaolo non cambia il 4-3-1-2 del collega, senza stravolgere gli schemi già funzionanti, e riesce a migliorarne alcuni aspetti e ad abbellirne il gioco, valorizzando giocatori giovani come Paredes, Zielinski e Saponara. La stagione positiva apre le porte al tecnico ad un altra stimolante e gratificante avventura, ossia quella alla Sampdoria, di cui è ancora l’allenatore, trovando la giusta serenità per lavorare che gli mancava da tanto tempo. Giampaolo entra nella storia della Samp e, soprattutto, nel cuore dei suoi tifosi per aver vinto tre volte di fila il derby della lanterna, fatto che non avveniva dalla stagione 1959-60, ma il suo lavoro si può valutare anche nella crescita e nella valorizzazione di giocatori come Muriel, Schick e Skriniar, venduti tra l’altro tutti e tre per un totale di circa 80 milioni di euro, e di Lucas Torreira, comprato dal Pescara a 2 milioni e oggi ne vale circa 40.
La storia e la carriera di Marco Giampaolo hanno ancora molto da dire, un allenatore che sembrava aver toccato il fondo e, invece, oggi è uno dei più apprezzati in Italia, ma c’è un significato che va al di là dei “semplici” risultati. La sua storia ci mostra come un allenatore possa lavorare bene innanzitutto grazie al duro lavoro, alla dedizione e alla passione, ma soprattutto senza avere il peso di un nome importante del calcio passato, che spesso apre facilmente le porte ad allenatori non ancora formati e non adeguati ad allenare una grande squadra. Giampaolo ha condotto l’Ascoli a due promozioni storiche senza avere un patentino che, per chi non è un personaggio già ben inserito nel calcio italiano, risulta essere un ostacolo quasi insormontabile e in maniera del tutto ingiustificata.