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Roma-Liverpool: cosa successe nell'84

Per molti tifosi valeva più di un mondiale, non esisteva competizione più prestigiosa a cui ambire. Una Roma fortissima, con stelle del calibro di Pruzzo, Cerezo, Conti, Di Bartolomei, Falcao guidati da un maestro di calcio come Nils Liedholm. L’anno precedente riportarono lo scudetto nella capitale dopo ben 41 anni, ed esistevano tutti i presupposti affinché portassero a casa anche la Coppa dei Campioni. Di fronte c’era un Liverpool, uno dei più forti di tutti i tempi, già vincitore di tre edizioni (1977, 1978, 1981), e che si apprestava alla quarta finale nel giro di pochi anni. Quando si trattava di finali era di casa.
La cavalcata della Roma in quell’anno era di tutto rispetto, dopo aver eliminato senza troppi patemi Goteborg, CSKA Sofia e Dinamo Berlino, la rimonta in semifinale con il Dundee United faceva presagire che tutto era possibile.
I tifosi giallorossi sapevano che giocare la finale di Coppa dei Campioni nel proprio stadio era un’occasione irripetibile. Uno di quei momenti che capitano una volta nella vita. Nella città si respirava un misto di gioia e tensione. Arrivati a quel punto, uno sbaglio sarebbe stato troppo grande da sopportare.
Quel mercoledì 30 Maggio era una giornata calda, i cancelli aprirono molte ore prima del fischio d’ inizio, ed all’ora di pranzo gli uffici e i negozi erano già tutti chiusi. Molti trascorsero la notte davanti ai cancelli per assicurarsi un buon posto allo stadio.
La partita ha inizio e le squadre appaiono subito molto timide e contratte, soprattutto la Roma, forse frenata dalla troppa pressione dell’Olimpico. Pruzzo e Graziani vengono marcati al centimetro da Lawrenson e Neal, mentre Rush viene lasciato libero di svariare su tutto il fronte d’attacco. È proprio su un cross dalla destra di Johnston, che lo stesso Rush entra in contrasto con Tancredi facendogli perdere il pallone fra le mani, e un pasticcio difensivo di Bonetti consegna la palla a Neal. È 1-0. Una Roma già bloccata, accusa il colpo e fa fatica a reagire. È netta la supremazia del Liverpool a centrocampo. Però sul finire del primo tempo il Liverpool appare stanco e cerca di archiviare la partita verso la ripresa, mentre la Roma ne approfitta per avvicinarsi con più insistenza alla porta di Grobbelaar. Un cross dalla sinistra di Conti trova puntale Pruzzo, che pareggia i conti. Lo stadio diventa una bolgia. Sembrava di aver già vinto.

All’inizio del secondo tempo i giallorossi sulle ali dell’entusiasmo macinano gioco, mancando di lucidità nell’ultimo passaggio. Col passare dei minuti la stanchezza regna sovrana, entra Chierico al posto di un infortunato Pruzzo. La sua mancanza sarà determinante. Il Liverpool dall’alto del suo enorme tasso tecnico gestisce bene il possesso palla, facendo correre a vuoto i già stremati giallorossi, tanto che parecchi iniziano ad accusare crampi. Tocca a Tancredi compiere gli straordinari, respingendo due pericolose conclusioni di Dalglish e Nicol.
I tempi supplementari scorrono senza troppi acuti. L’unica azione degna di nota è una bella parata di Grobbelaar su un tiro di Conti dal limite dell’area.
Si arriva ai calci di rigore: Pruzzo è infortunato, mentre Falcao si rifiuta di calciare. Tutto fa presagire un destino già segnato. Iniziano gli inglesi ed è subito errore con Nicol. I 60mila dell’Olimpico hanno già in mente di potercela fare, ma a rimediare all’errore del compagno ci pensa il portiere Grobbelaar. Sulla linea di porta inizia uno show ai limiti della sportività, che imitando qualche hooligan fuori dai bar, inizia a barcollare e compiere movimenti danzanti, inducendo all’errore prima Conti e poi Graziani. Gli inglesi non sbaglieranno più, tutti a segno: Souness, Rush e Kennedy. Il Liverpool alza la Coppa dei Campioni per la quarta volta in sette anni.
E i romanisti? Chi sotto choc e chi si pentiva di tifare Roma. Alcune frange di tifosi accecati dalla rabbia e dall’amarezza si diedero ad una spietata caccia all’inglese, mentre la stragrande maggioranza si riunì al Circo Massimo dove Venditti decise di continuare ugualmente il concerto. Una ferita molto dolorosa che per molti non si è mai rimarginata, e ad oggi ci sono tifosi che fanno finta che la partita non sia mai esistita. Era un palcoscenico troppo grande, e l’Olimpico anziché essere di sostegno, diede sui giocatori una pressione deleteria, che unita alla sfortuna e all’esperienza del Liverpool furono determinanti.
Dopo 34 lunghi anni Roma ed i romanisti non aspettano altro che prendersi la loro rivincita, e magari riuscire a ricucire quella ferita che non si è mai chiusa.


Edoardo Vicomanni