In Italia la politica diventa di giorno in giorno un tema sempre più caldo per via dello scontro politico che si sta accentuando, ma i dati d’adesione e partecipazione sono progressivamente più preoccupanti poiché in continua decrescita. Ci troviamo di fronte a una crisi di partecipazione politica senza precedenti. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, l’affluenza ai seggi per le elezioni del 2024 corrisponde al 49,69% per le europee sul territorio nazionale, mentre al 62,62% per le amministrative.
Confrontando e analizzando dei grafici percentuali sulle affluenze alle votazioni, notiamo dei cali fino al 40% rispetto agli anni ‘50 e ‘60, raggiungendo picchi negativi mai visti in precedenza, dimostrando se non la scarsa fiducia perlomeno la disaffezione cittadini che i cittadini nutrono nei confronti dello Stato.
Come è possibile fare fronte a queste problematiche? Il connubio tra “scuola” e “politica” può essere la risposta?
Parlare di scuola e politica, e di come questi due mondi possano trovare una concordanza, è spesso oggetto di dibattiti e scontri intellettuali. La reintroduzione nelle aule dell’educazione civica, permessa grazie alla legge n.92 del 20 agosto 2019, in precedenza introdotta da Aldo Moro nel 1958 ma soppressa poi nel 1990, avrebbe dovuto essere una modalità d’apprendimento sociale e politico di grande prospettiva. Ma è davvero così? Parlando con centinaia di studenti possiamo denotare un grande vuoto culturale su quella che è la nostra istituzione politica. Ci troviamo di fronte a una società giovanile che non viene quasi per nulla istruita e aiutata nella comprensione del funzionamento delle istituzioni, a degli studenti che di politica nelle scuole non ne hanno mai sentito parlare.
L’introduzione nelle aule di esperti e professionisti potrebbe davvero aiutare a riprendere in mano il nostro Paese e a istruire le nuove generazioni su ciò che è la funzione della macchina dello Stato.
di Carlo Melodia
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