Il “mangiaplastica”. potremmo definire, così, lo Pseudomonas aeruginosa, un batterio ubiquitario reperibile in ambienti umidi.
E’ responsabile di infezioni ospedaliere gravi e diffuse, in particolare nei pazienti immunodepressi o debilitati, come sono spesso i degenti. Si sviluppa in zone corporee con ristagno di fluidi (cateteri, ustioni, etc) ed è resistente alla cura con antibiotici. Il microbo è considerato ad alta patogenicità dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Una ricerca condotta da un team della Brunel University di Londra, e pubblicato dalla rivista scientifica “The Conversation”, ha altresì dimostrato come un ceppo di Pseudomonas aeruginosa sia in grado di degradare, nutrirsi e sfruttare la plastica ospedaliera.
Questa capacità, individuata attraverso lo studio del genoma di batteri isolati da pazienti, viene attribuita a un enzima che consente al patogeno di “digerire” i materiali plastici e utilizzarli per formare un biofilm solido e resistente, proteggendo le colonie batteriche dagli interventi terapeutici.
La scoperta si inserisce in un contesto in cui le plastiche monouso sono ampiamente utilizzate negli ambienti sanitari con materiali originariamente pensati per garantire la sterilità. L’attività dello Pseudomonas, producendo enzimi capaci di rompere le molecole dei materiali plastici per trasformarli in una fonte di nutrimento, pone un duplice problema: da un lato il substrato strumentale contribuisce alla crescita delle colonie batteriche; dall’altro, si complica il controllo delle infezioni, dal momento che i biofilm risultanti offrono una barriera efficace contro gli antibiotici e il sistema immunitario.
La ricerca sottolinea come la capacità del batterio di incorporare i prodotti della degradazione della plastica nella matrice protettiva dei biofilm possa aumentare la sua pericolosità, specialmente in ambienti ospedalieri dove i pazienti sono spesso già problematizzati. Questo rende il controllo delle infezioni ancora più difficile, e urgente la ricerca di soluzioni innovative come l’impiego di plastiche modificate con agenti antimicrobici, in grado di inibire sin dall’origine la crescita dei patogeni.
In sintesi, lo studio evidenzia che il fenomeno del “mangiaplastica” non va visto solo come una curiosità scientifica, ma come un segnale forte per ripensare l’utilizzo dei materiali plastici in ambito medico ed è questo l’aspetto positivo della ricerca: la scoperta apre la strada a nuove strategie di progettazione dei dispositivi sanitari, nei quali la scelta dei materiali e il loro trattamento possono diventare cruciali per prevenire la formazione di biofilm che rendono le infezioni sempre più complesse da gestire.
L’analisi solleva anche interrogativi sulla sicurezza degli ambienti ospedalieri e sulla necessità di integrare la ricerca microbiologica con l’ingegneria dei materiali.
Il settore della ricerca sugli Pseudomonas si estende, inoltre, alla possibilità di utilizzo in campo ambientale adoperandoli per il riciclo sostenibile dei composti plastici che possono essere trasformati in materiali riutilizzabili, riducendo, così, la montagna dei rifiuti che intasano l’ecosistema e interferiscono negativamente sulla salute umana e su quella del mondo animale e vegetale.
In effetti, il trattamento microbiologico potrebbe essere un’alternativa alle strategie meccaniche, termiche e chimiche relative al trattamento di polimeri sintetici difficilmente degradabili.
Insomma, dal dannoso all’utile Pseudomonas.
Primo Mastrantoni, presidente comitato tecnico-scientifico di Aduc