Venexit o non Venexit? Il Ddl approvato il 6 dicembre dalla giunta regionale veneta sembra spingere nella prima direzione: un vero stato autonomo veneto, ma questa volta Zaia e soci si sono spinti oltre, perché si vuole legittimare questo “Stato” anche con la sua lingua, il veneto.
C’era un tempo in cui la differenza fra dialetto e lingua veicolava non solo considerazioni letterarie, ma anche socio-politiche. Oggi i linguisti spiegano che un dialetto non ha caratteristiche che lo rendano più “spregevole” rispetto alla “lingua tetto”, tranne gli stigma che i parlanti applicano al suddetto dialetto.
I linguisti asseriscono anche che utilizzare il dialetto per veicolare discriminazioni è errato e pericoloso. Può definirsi tale la votazione a favore del Ddl 116 che, secondo alcuni, darebbe il via al Venexit?
Questo disegno di legge considera il “popolo veneto” come “minoranza nazionale“, dando vita al patentino di bilinguismo, alla dichiarazione di appartenenza etnica, all’utilizzo del veneto negli uffici pubblici e nella toponomastica e all’insegnamento del suddetto nelle scuole.
La maggioranza, composta da Lega e centrodestra, si basa sull’esempio di autonomia dell’Alto Adige e del Trentino, le province autonome dove la conservazione delle minoranze linguistiche (tedesco, italiano e ladino) è unita a misure che riservano ad ognuna di esse quote nei posti di lavoro pubblici: la “proporzionale etnica” del 1976.
Il tema del separatismo ha radici lontane; come il secessionismo o il federalismo fiscale, torna spesso nelle parole della Lega. Fra strappi e boutade grottesche (il carrarmato assemblato nel 1997 dagli appartenenti al separatismo veneto), Zaia e i suoi alleati questa volta sembrano far sul serio, tanto da far parlare appunto di Venexit.
Ciò s’inserisce anche in un di “revisionismo” sul Risorgimento, che etichetta come truffa l’annessione al Regno d’Italia dei territori della Serenissima Repubblica veneziana nel 1866. La Lega ne trova esempio lampante nell’opinione dei cittadini veneti, che considerano uno spreco di denaro ogni imposta che non sia investita nella loro regione.
Il patentino di bilinguismo, o di veneticità, è sicuramente l’aspetto più “strano” dell’eventuale Venexit: ogni funzionario pubblico, compresi i “non veneti“, per essere assunto dovrà superare un esame e mostrare di parlare la “lingua veneta“.
Favorevoli a considerare i veneti come minoranza avente diritto del bilinguismo i consiglieri della Lega, la Lista Zaia e il gruppo Tosi; Pd, 5 Stelle, Lista Moretti sono stati contrari alla proposta, Forza Italiae Fratelli d’Italia si sono astenuti.
I primi vogliono che lo Stato italiano applichi in Veneto la Convenzione quadro europeapromulgata dal Consiglio d’Europa per conservare le minoranze storiche e che il governo italiano, come afferma Riccardo Barbisan, relatore di maggioranza del Ddl 116, dia ai veneti “gli stessi dirittiassicurati agli altoatesini o ai trentini, ai quali sono garantiti dallo Stato italiano risorse e mezzi per tutelare le loro minoranze“.
I contrari al disegno di legge fanno leva sull’evidente incostituzionalità della proposta, sul senso d’insulto verso i laboriosi veneti, adducendo anche le banali domande: chi darà il patentino di veneticità? Chi stabilirà con certezza quale sia la lingua veneta, stando l’enorme differenza fra ogni dialetto veneto?
Minoranza etnica e bilinguismo sembrano non essere concordanti fra loro. Se, a costo di enormi sacrifici, si riuscisse a separare la lingua veneta da quella italiana, i legislatori successivamente capirebbero che non c’è un’etnia dominante in Italia e la differenza tra l’abitante veneto e quello italiano è ardua da stabilire.
In generale, italiano è colui che vive nella Repubblica italiana come cittadino soggetto alle leggidell’ordinamento statale. In questa disputa linguistica, il cittadino italiano è colui il quale deve apprendere e parlare la lingua di Stato (l’italiano) e solamente nei territori con minoranze etniche straniere potrà studiare una seconda lingua (quella della minoranza straniera): questo non deve però essere motivo di discriminazione rispetto a chi non parla un dialetto.
Zaia quale “lingua veneta” deciderà di adottare? Quella di Padova, di Venezia, di Verona, di Vicenza o il Ladino? I centri minori come Baone, Bardolino, Legnago, Mestre, Monselice, Negrar, Villadose, Zanè verranno discriminati?
A questo punto la Sardegna giustamente dovrebbe pretendere il bilinguismo dato che il sardo è una lingua a sé stante; la Campania, auto-proclamatasi alfiere del separatismo borbonico, dovrebbe imporre la sua “lingua” alle altre regioni (persino alla riottosa Sicilia); la Toscana, culla delle Tre Corone letterarie, potrebbe, a suo avviso, arrogarsi un qualche merito in diritto di lingua; e l’elenco potrebbe ulteriormente allungarsi.
Il governatore Zaia ha già promesso per la prossima primavera un referendum per l’autonomia speciale regionale (ulteriore passo per la Venexit), e nel mentre Venezia perde abitanti, guadagna turisti indisciplinati e subisce gli effetti dell’alta marea.
La Venexit sembra un vaste programme, del quale certamente spetterà alla Corte Costituzionale occuparsi, stabilendo se si tratti di… monae (o monate, che dir si voglia).
Pasquale Narciso