In Italia manca una legge sull’eutanasia, ma manca anche una chiara legge sul testamento biologico, atto che dovrebbe essere espressione della volontà da parte di una persona, in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (cosiddetto “consenso informato”) per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.
Nonostante l’Italia abbia ratificato la Convenzione di Oviedo del 2001, neanche in materia di testamento biologico il nostro paese ha attuato una legislazione. Una situazione anomala dato che la Costituzione all’art. 32 afferma che nessuno può “essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Nonostante ciò, attualmente gli unici strumenti utilizzabili per nominare terzo sono: l’amministrazione di sostegno e i testamenti di vita.
Entrambi gli atti permettono teoricamente alla persona di non essere sottoposto ad alcun intervento chirurgico e/o trattamento terapeutico (con particolare riguardo a rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione o alimentazione forzata e artificiale) se il loro risultato fosse, a giudizio dei medici il prolungamento del suo morire, il mantenimento di uno stato di incoscienza permanente, il mantenimento di uno stato di demenza avanzata; il non essere sottoposto ad interventi comunemente definiti “di sostegno vitale” quali, ad esempio, l’alimentazione, l’idratazione e la ventilazione artificiale, interventi che se già iniziati debbono essere interrotti; provvedimenti atti ad alleviare le sue sofferenze, compreso l’uso di farmaci oppiacei, anche se essi dovessero avere come conseguenza l’anticipo della fine della sua vita.
Nei fatti l’ordinamento italiano consente indirettamente l’eutanasia passiva, ma considera illegale quella attiva. L’intera struttura normativa è poi resa complicata sopratutto nel caso in cui una persona decida di utilizzare gli strumenti previsti per l’amministratore di sostegno.
La nomina è subordinata alla decisione del Giudice tutelare, che valuta e decide in merito alle sue volontà. La giurisprudenza (Ordinanza Trib. Modena 5/11/2008, decreto Trib. Firenze 22/12/2010) ha consentito ad un amministratore di sostegno di rispettare le dichiarazioni di volontà Anticipate espresse dall’incapace mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, o verbalmente.
Nei fatti un rebus poichè la legge italiana permette solo mediante l’interpretazione della legge di procedere all’eutanasia e a determinate condizioni. Il notariato già nei primi anni duemila si era fatto portatore delle istanze di coloro che sono a favore dell’eutanasia, ma a oggi il loro intervento si è limitato all’istituzione di registri di testamenti di vita. Nei fatti uno strumento utile, anche se non completo, in un Paese che trova difficoltà nel riconosce il diritto all’autodeterminazione del singolo.
Michele Soliani