Le elezioni politiche del 4 marzo si sono rivelate pienamente per quello che sono, ossia uno spartiacque per la storia politica di questo Paese, al pari dello scandalo Tangentopoli che nel ’92 portò alla fine della Prima Repubblica e della tornata elettorale del ’94 che portò Silvio Berlusconi in Parlamento dando il via alla Seconda Repubblica.
Un’epoca politica è finita, realizzando al contempo quanto già iniziato nel 2013 con l’intromissione del MoVimento 5 Stelle tra i due schieramenti contrapposti di centrodestra e centrosinistra, entrato a spallate nelle istituzioni e facendosi portavoce di una grossa fetta di elettorato deluso dai partiti classici. Dopo cinque anni passati all’opposizione, il M5S capitanato da Luigi Di Maio si propone come forza di governo col suo vistoso 32,55%; ugualmente pretende la coalizione di centrodestra, che ha raccolto il 37,25% dei consensi arrivando prima e sconfiggendo un martoriato Partito Democratico che in meno di quattro anni ha visto più che dimezzare i suoi voti.
Infatti nelle settimane scorse sono iniziate le trattative tra le due forze politiche vincitrici per la spartizione delle Presidenze delle Camere: il lavoro diplomatico svolto dal Capo politico M5S Luigi Di Maio e del Segretario federale della Lega Matteo Salvini è stato un successo politico, che nel rispetto della volontà popolare emersa alle urne ha portato il penstellato Roberto Fico alla Presidenza della Camera e la forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati alla Presidenza del Senato.
Un po’ a ciascuno, dunque; e, nonostante alcuni incidenti di percorso, il patto ha retto alla perfezione. Tuttavia è solo ora che inizia la vera sfida, ossia riuscire a formare un governo tra diverse forze politiche che in campagna elettorale si sono scambiate reciproche mazzate a suon di media e che ora come ora da sole non hanno i numeri per governare.
Una bella gatta da pelare, soprattutto per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha il delicato compito di individuare quella persona capace di convogliare attorno a sé la fiducia necessaria per dare il via al nuovo esecutivo. Missione non facile vista la situazione di stallo politico, ma se all’immediato indomani delle elezioni politiche il quadro era totalmente al buio, adesso che le Presidenze delle Camere sono state assegnate è possibile intravedere una visione più chiara per il futuro di questo Paese.
Il leader leghista Matteo Salvini si dice soddisfatto affermando che “il prossimo Premier non potrà essere che di centrodestra” – sottinteso, della Lega. Già, perché se da una parte Salvini ha fatto da mediatore coi 5 Stelle offrendo la seconda carica dello Stato all’alleato Forza Italia, in seno della sua leadership all’interno del centrodestra e in quanto candidato Premier della Lega, si aspetterà di ricevere l’ultima e più ambita poltrona: quella della Presidenza del Consiglio.
Eppure sono remote le possibilità che Mattarella dia l’incarico a Matteo Salvini: con la sua personalità controversa e poco aggregante, seppur molto carismatica, il Segretario del Carroccio non sembrerebbe essere il candidato migliore per mantenere unito un governo di larghe intese coi 5 Stelle – che dal canto loro spingerebbero per vedere Di Maio seduto sulla poltrona presidenziale.
Premesso che a questo punto affidare il ruolo di Presidente del Consiglio a un eletto della Lega sia la scelta più corretta (ma non a Matteo Salvini), il candidato perfetto è già sotto gli occhi di tutti e ha già fatto parlare a gran voce di sé appena dopo la sua elezione al Senato: Toni Iwobi, il leghista di colore originario della Nigeria.
Può sembrare una mera provocazione – e in parte lo è – ma designare il Senatore Iwobi come prossimo Premier sarebbe una mossa squisitamente diplomatica e aggregante tutte le forze politiche. Egli è l’incarnazione vivente dell’integrazione straniera in Italia e simbolo del self-made man africano approdato in Occidente: arrivato nel Bel Paese nel 1976 con una laurea conseguita negli Stati Uniti, Iwobi ha fatto strada nel mondo dell’imprenditoria e della politica, rimanendo sempre fedele alla verdeggiante bandiera leghista sin dalla sua adesione nel 1993 e venendo nominato dal Segretario Salvini responsabile federale del Dipartimento Immigrazione e Sicurezza della Lega nel 2014.
In un momento tanto critico in cui l’immigrazione è uno dei punti più caldi di tutti i programmi elettorali, nominare un personaggio come Toni Iwobi accontenterebbe tutti: il centrodestra, e la Lega in particolare, per l’ovvio motivo di avere un proprio eletto alla tanto auspicata Presidenza del Consiglio; il M5S che non vedrebbe l’alleato-rivale Matteo Salvini soffiare il posto a Di Maio; e persino il centrosinistra ne gioirebbe, dal momento che ha sempre fatto dei suoi valori cardine l’integrazione e il multiculturalismo – e quale segnale più forte di un immigrato di colore naturalizzato italiano rappresentare l’Italia nel mondo? E’ la prima volta che uno straniero di colore viene eletto in Senato nella storia repubblicana: perché non fare un ulteriore balzo e conferirgli la leadership del Paese, allora?
Qualche anno fa, quando Giorgio Napolitano rassegnò le dimissioni da Capo dello Stato, l’ex-Ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge rivelò un suo piccolo sogno nel cassetto: “Vorrei un nero come Presidente della Repubblica“. Per quella carica bisognerà attendere (salvo imprevisti) almeno altri quattro anni, ma per il momento potremmo accontentarci del primo Presidente del Consiglio nero.
Non che la provenienza geografica o il colore della pelle siano i fattori più essenziali per identificare un ruolo tanto importante, ma dal momento che Toni Iwobi è comunque una persona competente e intelligente, oltre che apprezzata dal popolo della Lega, con la sua nomina a Premier faremmo un en plein.
E’ una semplice osservazione, e se vogliamo un piccolo consiglio rivolto al Presidente Mattarella, ma in questa legislatura tanto imprevedibile che apre la Terza Repubblica tutto è possibile.
Giuseppe Comper