Il 14 maggio a causa delle conseguenze di una polmonite è scomparso all’età di 87 anni Tom Wolfe, famoso giornalista e scrittore statunitense. Wolfe nel corso della sua lunga vita si è distinto per essere uno dei più apprezzati saggisti contemporanei, alcuni dei suoi lavori tra cui “The Bonfire of Vanities” e “The right stuff” sono divenuti tra i più apprezzati del ‘900 letterario americano e mondiale.
Nato a Richmond nel 1930, si diplomò nella prestigiosa Università di Yale, iniziando nel 1957 a lavorare come cronista per il giornale “Springfield Union”. Passato nel 1960 al più prestigioso “The Washington Post”, inizò a farsi conoscere al mondo come uno dei maggiori esponenti del “New Journalism“, la nuova corrente letteraria nata negli anni Sessanta che si proponeva di adattare gli stili narrativi propri della letteratura al giornalismo.
Dal 1965 Wolfe si dedicò principalmente alla produzione letteraria, tra i suoi lavori più famosi del periodo si ricordano “The Kandy-Kolored Tangerine-Flake Streamline Baby” (1965) e “The Pump House Gang” (1968).
Nel 1970 all’interno del saggio “Radical Chic & Mau-Mauing the Flak Catchers” conia per la prima volta il termine radical chic. Questo nuovo termine fu inventato da Tom Wolfe a seguito di un ricevimento organizzato per raccogliere fondi a favore del gruppo rivoluzionario marxista-leninista delle Pantere Nere.
Nel descrivere l’evento Wolfe era stato molto critico, disgustato da quella sinistra che nascondendosi nel lussuosi salotti borghesi aveva perso il contatto con il popolo americano. Il termine Radical Chic era stato inventato proprio per definire quel tipo di sinistra che si diceva interessata ai problemi della gente comune ma che viveva nel lusso più sfrenato, che organizzava serate di gala per finanziare un gruppo rivoluzionario violento come le Pantere Nere, ma che disdegnava gli operai americani, considerati bifolchi e provinciali.
Grazie al tono mordace e feroce delle sue critiche Tom Wolfe divenne rapidamente molto apprezzato e annoverato (ancora vivente) tra i più grandi reporter americani di tutti i tempi, al pari di grandi suoi colleghi come Truman Capote e Gay Telese.
Tra il 1970 e il 2000 il saggista continuò alacremente la sua produzione letteraria scrivendo capolavori come “The New Journalism” (1975), “The Painted Word” (1975), “The Right Stuff” (1979), “The Purple Decades” (1982) e “The Bonfire of the Vanities” (1987), venendo contestualmente insignito di numerosi premi tra cui spiccano il “Dos Passos Prize” del 1984 e il “Jefferson Lecture in the Humanities” del 2006, il più alto riconoscimento letterario rilasciato dal Governo degli Stati Uniti.
Nel corso della sua lunga carriera Tom Wolfe si è sempre distinto per la sua onestà intellettuale, le sue feroci critiche non hanno mai avuto un padrone nè risparmiato nessuno. Wolfe si è sempre impegnato nella ricerca della verità, combattendo con forza la filosofia del “politically correct” ad ogni costo.
Una delle caratteristiche principali del giornalista americano è stata sicuramente la mancanza dei cosidetti “peli sulla lingua”, Wolfe raccontava le cose come stavano,senza mistificazioni e senza la paura che qualcuno potesse rimanere offeso. Dimostrandosi negli anni un grande giornalista nel vero senso del termine.
Professionisti come lui, sono tra quelli che mancano di più in quest’epoca dove la stampa è sempre più costretta a piegarsi alla politica del politicamente corretto, dove bisogna pesare ogni parola nel terrore che qualcuno possa sentirsi offeso.
Tutti noi dovremmo ringraziare Tom Wolfe, perchè con il suo lavoro ha contribuito a rendere la stampa libera tracciando un solco che dovremmo tutti seguire.
Carlo Alberto Ribaudo