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Salute

La terapia al plasma? Funziona, ma teniamolo a mente: non è la panacea per il COVID-19. Il caso della Lombardia e del Veneto

Negli ultimi giorni s’è fatto un gran parlare, nella lotta al COVID-19, della terapia al plasma come l’ultima frontiera delle armi che l’Uomo ha a disposizione per fronteggiare l’epidemia, ma non perché, come facilmente ipotizzabile, i giornali e i diversi partiti ne hanno parlato senza alcuna remora, quanto perché al contrario molti risultati ottenuti grazie alla plasmaferesi sono passati sotto silenzio. Non è mancata la dietrologia: non se ne parla perché il plasma non renderebbe tanto quanto un vaccino o un’altra terapia farmacologica, e il governo d’accordo con Bill Gates vorrebbe ostacolare questa scoperta. Una narrazione che non regge, anche se è stata sposata in parte dal leader della Lega Matteo Salvini.

In realtà, l’atteggiamento è di cautela. I risultati ci sono, e il caso del nosocomio di Mantova ne è l’esempio lampante: più di ottanta pazienti guariti tra cui una donna incinta, tanto che i Carabinieri del NAS hanno chiamato il primario del reparto di pneumologia, il dottor Giuseppe De Donno, per chiedere lumi sull’applicazione del protocollo terapeutico. Con la plasmaferesi, la mortalità nel mantovano per i pazienti COVID curati attraverso questa terapia è stata nulla tanto da ipotizzare una banca del plasma che sia disponibile per gli ospedali di Mantova e Pavia, le cui squadre di sanitari stanno lavorando a stretto contatto da inizio crisi. Anche sul fronte veneto si stanno registrando simili risultati, tant’è che il governatore Luca Zaia ha annunciato nel corso di una conferenza stampa lo scorso mercoledì 6 maggio di voler creare un’altra banca del sangue dove poter archiviare il plasma di tutti coloro i quali che, negativizzati, hanno voluto donare le piastrine e altro materiale ematico all’azienda sanitaria per contrastare il virus.

Ma il senso pratico, nel presidente del Veneto, non manca e ha ribadito come il plasma non possa essere considerato una panacea nella lotta al COVID-19, ci sono diverse terapie e altri farmaci che contribuiscono a sconfiggere la malattia; due esempi per tutti, l’idrossiclorochina o i farmaci che vengono utilizzati per il cancro alla prostata. Li si sta sperimentando sul campo e i risultati sono incoraggianti. Non tutte le terapie funzionano su tutta la cittadinanza e ogni caso clinico è diverso, per questo bisogna procedere con i piedi di piombo quando si parla di terapie o di medicina. Non soltanto quando l’argomento è il COVID-19. La terapia al plasma, però, sta riscuotendo un discreto successo tra le ipotesi terapeutiche di chi lavora in corsia vicino ai pazienti, e sembra che con le dovute misure e con le dovute cautele possa fungere da cavallo di battaglia in questa guerra ospedaliera tra l’Uomo e il SarsCov2; d’altro canto non si può nemmeno pensare che si sia trovata, come accennato all’inizio, la panacea o il farmaco universale: perché il plasma funzioni dev’esserci compatibilità tra il donatore e il ricevente e il sangue deve rispondere a determinati requisiti che non precludano la donazione. L’AVIS, l’associazione di donatori di sangue più importante d’Italia, nei giorni scorsi ha pubblicato un vademecum in cui si riassume la posizione del corpo medico sul plasma iperimmune.

La sperimentazione al plasma, in ogni caso, procede sotto l’occhio dei medici e dei ricercatori e che diventerà un caso di studi che farà discutere il mondo accademico; se dovesse dimostrarsi in ulteriori casi oltremodo efficace, d’altro canto, porterebbe ad un incremento delle possibilità di guarigione. Sarà necessario, però, agire il prima possibile, ai primi stadi della malattia, per evitare l’ingresso in terapia intensiva o il decesso, ed essere certi che il paziente possa essere sottoposto ad una terapia come quella del plasma. Pure a Pisa si sta iniziando a vagliare questa ipotesi e non manca molto che possa essere l’idea predominante in tutta Italia, puntando su questa quasi tutto, oltre all’antimalarico, al farmaco per il tumore alla prostata o come a Napoli o a Milano quello per l’artrite reumatoide. Ma prima di tirare un sospiro di sollievo, sarà bene attendere i risultati. La guerra continua.

Alessandro Soldà