Calabria, una regione nel mirino. Svanito in parte il malefico carisma della mafia siciliana, a parte la recente cattura del boss da selfie Matteo Messina Denaro; snobbata da sempre la pur pericolosa Sacra Corona Unita; secondaria la mafia del Brenta; messa da parte Napoli e dintorni, da qualche decennio sotto accusa c’è la punta dello stivale, in questo caso abbinata agli infiniti discorsi sul “marcio nel calcio”.
Carlo Petrini, l’ex calciatore che ha denunciato tutto il denunciabile, forse per scaricarsi una coscienza molto aggravata, ha picchiato duro su quell’ambiente, che peraltro ha la forza per infischiarsene delle polemiche. Riportiamo, dall’ultima intervista prima di morire, nel 2012:
“… Per anni hanno detto “Petrini è un matto”. Oggi con la riapertura del caso di Bergamini forse si dimostra che non lo sono e che non ho mai scritto assurdità”…”Perché Bergamini è morto?” “Bergamini è morto perché, dopo essere finito in un giro di droga, ha deciso di uscirne. Ma quando ha solo accennato di voler chiamarsi fuori, ha firmato la sua condanna a morte. In molti sapevano e in molti hanno taciuto: impossibile credere che Padovano, suo compagno di squadra e amico, non sapesse. Anzi gli sviluppi che la vicenda di Padovano ha avuto (condannato per spaccio di stupefacenti), conferma quello che io avevo intuito e scritto ne “Il calciatore suicidato”.TG.COM
La storia che raccontiamo presenta una lettura più o meno ufficiale. Donato “Denis” Bergamini, il ragazzo del nord, classe 1962, dalla provincia ferrarese scende a Cosenza dove sboccia il suo talento calcistico, coltivato fin da bambino; poco incline alla monogamia, tuttavia in breve trova una giovanissima fidanzata del posto, Isabella Internò, ma non ha progetti matrimoniali. Era una relazione a fasi alterne: sicuramente lui si “alternava” tra molte.
Quando nel 1987 lei, diciottenne, rimane incinta, Bergamini le propone un semplice riconoscimento di paternità, lasciandola libera di decidere. Con l’aiuto di una zia torinese della Internò andranno poi insieme a Londra per l’interruzione di gravidanza, lei già al quinto mese. I parenti del calciatore hanno sempre sostenuto che fu la giovane a voler abortire, di fronte all’ostinazione di lui a non volerla sposare. Tale epilogo avrebbe gravemente intaccato l’onore e l’orgoglio della “famiglia” calabrese, messa al corrente solo due anni dopo.
Il 18 novembre 1989 Denis è a Cosenza, al cinema con la squadra, ma interrompe la visione ed esce precipitosamente dalla sala; incontra Isabella e la conduce in auto, una Maserati, sulla statale 106 Ionica, all’altezza di Roseto Capo Spulico. Accosta, scende: il resto è oggetto del processo oggi in corso, dopo archiviazioni, riaperture, clamore mediatico e la tenacia della famiglia Bergamini, rappresentata dall’unica superstite, la sorella Donata.
Denis fu ritrovato sull’asfalto, apparentemente investito da un camion che trasportava mandarini. Isabella riportò sempre la scena del suicidio, che resistette fino agli anni duemila: quando la ragazza, ormai sposata, fu rimessa sotto i riflettori e considerata non affidabile, a causa di personali rancori verso l’ex.
E’ stato escluso da più parti che Denis si sia suicidato, o che sia stato trascinato per metri dal camion che lo avrebbe travolto. Si fa notare che il giovane fu trovato per terra ancora elegantissimo e composto, asciutto nonostante la pioggia, il viso intatto, quasi niente sangue. Isabella raccontò che lui le aveva proposto di fuggire insieme; al suo rifiuto, Bergamini si sarebbe lanciato con foga sotto il mezzo in transito, il cui autista ripeté sempre “non sono riuscito a evitarlo“. In realtà la pioggia era scesa dopo che il corpo era stato già coperto e un incidente non necessariamente devasta, bastando un’emorragia interna a provocare l’irreparabile.
Le cronache si sono fatte copiose ma, dopo tanti anni, ricostruire sarà arduo. Mentre il processo va avanti con Isabella unica imputata, i resoconti si infittiscono sostanzialmente di pettegolezzi. Denis, esuberante e impavido, a quanto pare passava da una ragazza all’altra, sia in Calabria che durante le trasferte al nord; e la storia con la Internò era diventata solo un passatempo sessuale, sempre più sporadico.
La famiglia Bergamini è apparsa pacatamente ostile all’humus calabro e descrive la giovane come una sorte di stalker, che assediava un uomo ormai disinteressato a proseguire la loro storia.
Un (presunto) omicidio come questo non nasce dal nulla; se non vogliamo credere al gesto anticonservativo, dobbiamo pensare a una congiura che la vittima stessa aveva forse intuito, senza poterla evitare. Oggi ci raccontano che lo avrebbero soffocato.
Chi e perché avrebbe dovuto volerlo morto? Isabella, prossima a un nuovo fidanzamento col futuro marito, non sembra averne avuto motivo. Va smontata la leggenda della Calabria tribale: siamo negli anni ottanta, le coppie si frequentano liberamente.
Si ipotizza che un gruppo di persone ce l’avesse con il calciatore: parenti della “sedotta e abbandonata” dal seduttore settentrionale? Faccendieri del calcio a cui lui aveva fatto un torto? Denis aveva segreti mai rivelati su qualche sua attività, come sostenuto da Petrini?
La sorella Donata ci inquieta raccontando di una telefonata, dopo la quale il fratello iniziò a sudare freddo; il collega fraterno Padovano invece cade dalle nuvole e protesta che Denis era in piena forma e la città lo adorava.
Isabella è stata massacrata dai media specializzati, bollata per sempre come colei che avrebbe rovinato, con le sue assurde pretese, l’eroe senza macchia venuto da lontano, non risparmiata nemmeno dal giornalismo “al femminile”, più velenoso che mai.
Immaginare che dietro ogni fatto di cronaca del sud ci sia una mano mafiosa alza ulteriore nebbia su eventi che circondandono le relazioni umane da sempre. Denis forse sottovalutò l’impatto della sua disinvolta condotta da playboy, su una ragazzina tenace e orgogliosa; probabilmente l’aveva bollata come la solita groupie ronzante intorno ai ritiri, visto che lei aveva già bazzicato un suo collega, ma i sentimenti sfuggono di mano.
In generale però il movente non sembra solido al punto di immaginare una fanciulla, per giunta esile, che da sola stronca la vita di un giovanotto aitante come Denis. L’alternativa sarebbe un omicidio di gruppo a bordo strada, un’azione azzardata ed esposta, necessariamente opera di criminalità organizzata, per giunta con la probabile complicità del camionista.
La Internò potrebbe essere ricorsa a qualche motivazione particolare per indurre Denis al ritorno, pressandolo fino all’esasperazione? E lui, che risulta aver avuto altre due relazioni parallele, potrebbe non aver visto il camion arrivare, durante un litigio?
Laggiù, di fronte alle onde dello Ionio, qualcosa è accaduto, forse un incidente poi “sistemato”, vista la notorietà della vittima. Vedremo che ne penserà la giustizia italiana.
Carmen Gueye