Stavo pensando che ormai le reti televisive fanno schifo o meglio i programmi informativi, nei talk show vince chi grida di più, non le sue idee e agli italiani piace chi grida, le idee non le ascoltano neanche. Eppure, la libertà di pensiero, e quella di poterlo esprimere, è una delle basi della convivenza civile. Ce ne dovremmo ricordare in questi tempi in cui, con la prevalenza di un argomento di confronto su tutti gli altri (la Palestina e i palestinesi, l’Ucraina), chi esprime le proprie idee si sente autorizzato a cercare di imporle all’interlocutore di turno e non invece di discuterne, pacatamente come sarebbe giusto. I dibattiti televisivi dicono esattamente il contrario, con la prevalenza di chi, intorno alle sue idee, ha costruito una barriera dietro cui si trincera non ammettendo nemmeno l’ipotesi di arretrare di un centimetro. È ormai il tempo in cui si preferisce discutere delle diverse sfumature di un problema – parliamo pur sempre di un conflitto armato -, non formulando invece delle soluzioni degne di questo nome, se veramente di intende dare un contributo.
Si dice: bisogna perseguire con ogni mezzo la pace.
Giusto, ma poi non si spiega come fare a ”imporre” la pace a qualcuno che ha scelto i cannoni per sostenere il suo punto di vista.
Si dice: fermiamo la guerra. Giusto, ma poi non si spiega come farlo se chi persegue la pace non ha gli strumenti per farla accettare dai duellanti. I motivi di questo approccio, oltre alla ricerca di un auto-accreditamento nei confronti dell’opinione pubblica (cosa che si può tradurre in un’occasione per promuovere un proprio libro o solo la propria immagine, da capitalizzare in termini di presenze e quindi di cachet da mettersi in tasca), sono da mettere forse in relazione ad modo di pensare che ci riporta agli anni ’70 quando si criticavano e combattevano le varie forme in cui si esplicava la nostra democrazia, proponendone solo la cancellazione e basta. Qui sembra la stessa cosa.
Dando per scontato per tutti sono per la pace e, quindi, nessuno sostiene la guerra in quanto tale, quando si va davanti alla telecamera si assumono atteggiamenti che poco hanno a che fare con quella parola del nostro vocabolario (ma esiste in tutte le altre lingue) che è ”rispetto”. È un termine purtroppo desueto che viene calpestato spesso con la scusa della passione e della foga che prende chi si confronta con chi non la pensa come te. L’elenco di chi urla, pensando in questo modo di disinnescare le posizioni dell’altro, è lungo e variegato, spaziando tra tutti gli schieramenti che si formano in un talk show.
Esempi sono tutti i giorni sotto i nostri occhi. Come, sempre sotto i nostri occhi, sono i giornalisti-conduttori d’area che restringono il perimetro di libertà di coloro che, ospiti dei loro programmi, sostengono tesi che loro non condividono. E il comune telespettatore, se pur non ne condivide le tesi, applaude perché autoritari e verbalmente violenti.
Marco Affatigato