Con l’intelligenza artificiale, gli anziani si trovano a dover affrontare una discriminazione algoritmica. Una sfida non solo sociale ma anche nel mondo economico-finanziario: non escluderli, non isolarli ma integrarli nella «rivoluzione digitale» e cogliere le opportunità della silver economy.
Nel 2024 interagiamo quotidianamente, spesso senza rendercene conto perché comincia ad essere ovunque, con l’intelligenza artificiale (AI) il cui modello algoritmico guida il suo funzionamento. Questi modelli vengono addestrati o calibrati su set di dati catturando segnali forti e deboli dal fenomeno modellato, con l’obiettivo di rispondere a una domanda o risolvere un problema (“Quando la macchina impara: La rivoluzione dei neuroni artificiali e del deep learning”, di Yann Le Cun, Odile Jacob, 2019).
Nonostante i notevoli progressi compiuti in settori quali la sanità, l’istruzione, i trasporti e le comunicazioni, assistiamo all’emergere di casi di «discriminazione tecnologica». Questa discriminazione si manifesta attraverso un trattamento differenziato, e spesso ingiusto, applicato da algoritmi integrati nelle tecnologie, in base al genere, al colore della pelle, alla lingua o alla classe sociale degli individui (“Algoritmi: la bomba a orologeria”, di Cathy O’Neil, Les Arènes, 2018 / “Controatlante dell’intelligenza artificiale”, di Kate Crawford, Zulma, 2022).
Meno discussa ma altrettanto importante, la discriminazione tecnologica basata sull’età tende a emarginare e sottovalutare ingiustamente gli anziani. Sta quindi emergendo una forma di invisibilità o stigmatizzazione di questa popolazione nella progettazione e nel funzionamento dei modelli di intelligenza artificiale, che dovrebbero tuttavia essere inclusiva a tutti i livelli: sociale e economico.
Secondo la «teoria del ciclo di vita», meglio conosciuta come «teoria Modigliani», gli individui sperimentano nella loro vita adulta tre cicli principali che si distinguono non per il «capitale intellettuale» ma per il «capitale economico-finanziario» che detengono mediamente.
Mentre il giovane ha un capitale negativo, lo aumenterà poi recuperando i suoi debiti attraverso il suo lavoro, per poi iniziare un terzo ciclo incarnato dal passaggio alla pensione in cui consumerà il capitale precedentemente accumulato (“L’ipotesi del “Ciclo di Vita” di Risparmio: implicazioni e test aggregati”, di Albert Ando e Franco Modigliani, 1963).
A partire dagli anni 2000 questa teoria è stata riconsiderata alla luce dei nuovi comportamenti dei senior, che tendono a continuare a capitalizzare con l’obiettivo di garantire il proprio benessere e assicurarsi un futuro più incerto (“I comportamenti finanziari dei senior – Asset scelte e rappresentazioni sociali”, di Alain Tourdjman e Yann Benoist-Lucy, 2006).
Il termine “silver economy” è emerso all’inizio degli anni 2000 per colmare una lacuna nell’analisi economica delle nazioni industriali. Questo approccio mira in particolare a tenere conto della crescente influenza degli anziani sull’economia.
Lungi dall’essere limitata ai servizi personali e all’assistenza agli anziani, la silver economy abbraccia un’ampia gamma di settori. È quindi fondamentale considerare gli anziani non come ‘’beneficiari passivi’’, ma come ‘’attori attivi nella crescita economica’’. Il loro comportamento finanziario, soprattutto in termini di gestione del capitale, lo testimonia.
Discriminazione senior.
Come molti paesi, l’Italia da diversi anni, forse un paio di decenni, sta attraversando una transizione demografica che comporta un invecchiamento della popolazione, con una proiezione per il 2050 della metà degli italiani che avrà più di 60 anni. Invecchiamento dovuto, tra l’altro, all’aumento della speranza di vita degli italiani e al calo della natalità con in alcuni casi la scelta di non avere figli.
Con l’invecchiamento della popolazione, paradossalmente osserviamo una certa ‘’invisibilità degli anziani’’ in molti ambiti statistici. Nel campo della sanità, ad esempio, tra le persone di una certa età si registrano raramente o non si registrano affatto casi di determinate malattie. Nell’ambito familiare, i divorzi e i matrimoni degli anziani sono oggetto di pochi studi. Infine, in termini di finanza, il comportamento dei pensionati non attivi riguardo al risparmio non è sufficientemente analizzato.
Questa invisibilità, radicata nella nostra storia e nella nostra cultura, è accompagnata dalla stigmatizzazione degli anziani. Il vocabolario utilizzato per designarli (“pensionati”, “inattivi”, “senior”, “vecchiaia”, “anziani”) è un primo indicatore. Un secondo indicatore è l’algoritmo utilizzato nel sistema bancario per la stima del rischio di credito. La crisi del Covid-19 ha accentuato questo stigma trasmettendo l’idea che gli anziani impongono un costo economico alla società in materia sanitaria.
Così nell’era dell’intelligenza artificiale, e alla luce dei rischi di «discriminazione tecnologica», il caso degli anziani presenta una sfida poiché incontrano maggiori difficoltà nel padroneggiare gli strumenti digitali rispetto alle generazioni più giovani e ai “nativi digitali”, che integrano naturalmente le tecnologie nella loro vita quotidiana.
Questi risultati, aggiunti alla discriminazione culturale e storica precedentemente menzionata, sono all’origine di una potenziale maggiore discriminazione nei confronti degli anziani, alla quale occorre prestare particolare attenzione per garantire l’assenza di discriminazioni tecnologiche rispetto ai diritti fondamentali degli anziani, cittadini a parte intera. Lottando contro la discriminazione degli anziani nell’era dell’IA, preserviamo la coesione sociale e viene promosso il legame intergenerazionale, oltre a garantire la parità di trattamento tra gli individui e allo stesso tempo ridurre la stigmatizzazione degli anziani.
Marco Affatigato