Mentre l’Italia del centrodestra si inalbera per il deplorevole gesto della neo sindaco di Merano, tale Katharina Johanna Zeller candidata eletta del Südtiroler Volkspartei con l’appoggio del centrosinistra, rea di essersi tolta la fascia tricolore in occasione dell’insediamento, non sono ipocrita e non mi accodo alla massa del dissenso, semplicemente perché il fatto non mi stupisce. Sia chiaro: lo condanno, ma non mi stupisco. Casomai sbalordisce il silenzio dei companeros del sindaco, il centrosinistra intendo, ma il loro opportunismo è noto a tutti da decenni. Conosco bene la zona per un trascorso professionale a Bozen, Bolzano, ridente città divisa in due dall’Adige: a nord del fiume tedeschi di Germania, ja! A sud del fiume sono italiani, soprattutto provenienti dal Sud Italia. Bolzano e Merano sono zone bilingue con marcata maggioranza in tedesco. Così come germanici, sono i loro usi. Per le strade puoi imbatterti facilmente in commercianti ambulanti dove puoi gustare (gustare è una parola avventata) i wurstel con i crauti, cotti in un padellone enorme ed inseriti alla belle e meglio in un panino. La Baviera non è così lontana. Per bere, rigorosamente una birra bavarese. Non azzardatevi a chiedere una Peroni, o qualsialtra di produzione italiana: vi risponderebbero in tedesco. Tradotto in inglese significa fuck you.
Bozen e Meran, Bolzano e Merano, sono il risultato di un compromesso mai definito, una virgola storica a fare da antitesi alla tanto declamata Europa Unita. Loro sono tedeschi e noi italiani, punto. Stringere un patto con i sud tirolesi significa accettarli e per i compagni, storicamente anti italiani nell’anima, è un gioco da ragazzi. In tutto questo, però, non possiamo dimenticare gli italiani a metà, ovvero italiani di nascita e di origine, ma leghisti di adozione. Il gesto scellerato della Zeller fa copia ed incolla con altrettante azioni deprecabili dei leghisti dove, in quel di Pontida, ne abbiamo viste di ogni. “Il tricolore sarà il simbolo delle ambasciate napoletane”, era il passa parola tra le camicie verdi, nel bel mezzo di bandiere italiane bruciate, ammainate, ingiuriate. Fuori dai denti: il leghista padano sta all’Italia come il sud tirolese a Roma. Sono cambiati i tempi? Macché, sono cambiate le opportunità, diciamo le cose come stanno!
Portate un arancino siciliano nella mensa della festa di Pontida o ad una reunion del Sudtiroler Volkspartei, provare per credere ripeteva una vecchia pubblicità. Solo pochi anni fa, invitato a Pontida con l’amico Marzio, mi avvicinò un gruppo di disperati dell’acqua del Po con il più esagitato a gridarmi in faccia: siamo leghisti, padani, separatisti e federalisti! Se nel sputare queste imbarazzanti frasi fosse stato uno dei tanti palafrenieri della Lega tant’è, corna e buoi dei paesi tuoi un palafreniere non si nega a nessuno, ma questo stereotipo di leghista sottosviluppato mentale era il sindaco di un paese lombardo. Anzi, lumbard, per dirla nel loro dialetto. Ed allora caro Generale dal cognome con una vocale diversa dal mio, provi ad organizzare la festa nazionale del suo partito a Roma, abolendo Pontida, è il vice segretario, lo può fare. Sarà ricordato per sempre, ma come un martire. Con una proposta simile la inchioderebbero al primo palo, non prima però di averle tolto la ridicola figurina di Alberto da Giussano dalla giacca, s’intende.
Generale, quelle cinque stelle… Così una strofa della meravigliosa canzone di De Gregori, Generale, appunto, ma lei, Vannacci, probabilmente non si è accorto delle 5 stelle ne manca una dalla sua uniforme? Caduta per terra e calpestata. Lei che, parole sue, morirebbe per difendere la Patria abbracciare i federalisti separatisti fino a diventarne vice segretario è un’onta per quella stella la quale, come per miracolo animata, ha preferito staccarsi dal suo petto. Generale, lei ha perso una grandissima occasione. Poteva riunire tutti, da Marco Rizzo a Gianni Alemanno, bruciando finalmente la frase-anatema di Filippo il Macedone, dividi et impera, realizzando l’antico sogno di Nicolino Bombacci, Beppe Niccolai, Pino Rauti e Teodoro Buontempo. Un sogno che fu pure per l’innominabile, ovvero sua Eccellenza il Cavaliere, ma questo è riservato a chi la storia l’ha studiata a fondo e non per chi l’abbia sfogliata su Topolino, magari sul prato di Pontida dove i vocabolari della lingua italiana non sono ammessi.
Marco Vannucci