Mentre il conflitto nella Striscia di Gaza si protrae con una ferocia crescente, il bilancio umano si fa sempre più insostenibile. A pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono i civili palestinesi. Tra di essi, un numero sconvolgente di bambini. Le immagini e i dati che quotidianamente giungono da Gaza raccontano una realtà che molti osservatori internazionali, accademici e ONG non esitano a definire un massacro, se non addirittura un genocidio.
La violenza indiscriminata, il bombardamento di aree densamente popolate, la distruzione di ospedali, scuole e infrastrutture essenziali, delineano un quadro drammatico, quadro che impone una riflessione profonda non solo sull’azione militare israeliana, ma anche e soprattutto sull’assenza di azioni concrete da parte della comunità internazionale.
L’immobilismo delle istituzioni internazionali
L’ONU, nonostante gli appelli, le risoluzioni e le indagini, si mostra impotente. La questione palestinese rappresenta da decenni uno dei più emblematici fallimenti delle Nazioni Unite, incapaci di assumere posizioni vincolanti e di agire con fermezza per fermare le ostilità. L’inadeguatezza dell’azione diplomatica è evidente: la paralisi del Consiglio di Sicurezza, il veto di alcuni membri permanenti, la retorica che non si traduce mai in atti concreti.
Anche l’Unione Europea, troppo spesso incatenata da divisioni interne e vincoli geopolitici, si limita a dichiarazioni di principio, incapace di esprimere una vera politica estera comune. L’assenza di una voce autorevole e unitaria contribuisce a consolidare il senso di abbandono tra i civili palestinesi e a indebolire la credibilità dell’intero progetto europeo. Ma c’è di più: questo silenzio europeo danneggia anche gli ebrei stessi, perché l’inerzia verso l’escalation israeliana rischia di legittimare, a livello simbolico e sociale, il ritorno dell’antisemitismo, alimentando una spirale di odio che si nutre proprio di assenza di chiarezza e giustizia.
Il pericoloso riflesso: il ritorno dell’antisemitismo
C’è infatti un altro aspetto, più subdolo e forse ancor più insidioso, che sta emergendo da questo scenario: la possibile recrudescenza dell’antisemitismo in Europa e nel Mondo. Il conflitto in corso e le azioni del governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu rischiano, infatti, di alimentare reazioni irrazionali e generalizzazioni pericolose.
È fondamentale ribadire, con forza, che la critica all’operato di un governo non può e non deve mai tradursi in ostilità verso un intero popolo o verso la comunità ebraica globale. Ridurre i comitati di solidarietà propalestinesi a meri focolai di odio antiebraico è una semplificazione che rischia di travisare il dibattito, ma al tempo stesso non si può ignorare che l’assenza di una soluzione giusta e duratura alla questione palestinese contribuisca ad alimentare tensioni, stereotipi e derive pericolose.
Ed è proprio qui che emerge con forza la responsabilità dell’Europa: il suo silenzio, la sua paralisi politica e diplomatica, non danneggiano soltanto la popolazione palestinese, ma finiscono anche per danneggiare indirettamente la stessa comunità ebraica in Europa, perché il loro non agire è la porta per l’antisemitismo.
Una responsabilità collettiva
Non è sufficiente indignarsi sui social o adottare risoluzioni di facciata. Occorre un cambiamento radicale nell’approccio politico, mediatico e culturale. La protezione dei diritti umani, il rispetto del diritto internazionale, il sostegno a soluzioni diplomatiche reali devono tornare ad essere i pilastri della politica estera delle democrazie occidentali.
Il rischio è che, continuando così, non si perda soltanto la pace in Medio Oriente, ma anche la nostra capacità di discernere il giusto dall’ingiusto, l’umano dal disumano.
M.S.