Nel silenzio apparente del Golfo Persico, una centrale nucleare rischia di trasformarsi in un incubo globale. A lanciare l’allarme non è una fonte qualsiasi, ma il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), Rafael Mariano Grossi, intervenuto il 20 giugno dinanzi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per aggiornare sulla situazione nucleare iraniana.
«Le centrali nucleari non possono diventare bersagli di guerra», ha ammonito Grossi, sottolineando il deterioramento delle condizioni di sicurezza in alcuni impianti nucleari iraniani dopo i recenti attacchi attribuiti a Israele. Il riferimento più preoccupante è rivolto a Bushehr, la principale centrale atomica del Paese, situata in una zona sismica e strategicamente vulnerabile, affacciata sul Golfo.
Il cuore del problema: Bushehr sotto minaccia
Grossi ha parlato chiaro: un attacco a Bushehr potrebbe compromettere il contenimento del materiale radioattivo e generare una nube tossica destinata a superare i confini iraniani. Nonostante le attuali verifiche non abbiano evidenziato dispersioni radioattive fuori dai siti, il rischio esiste, e non è teorico.
«Un’eventuale compromissione della centrale – ha detto – avrebbe gravi implicazioni per la salute pubblica e l’ambiente, ben oltre i confini del conflitto regionale.»
La centrale di Bushehr, costruita con tecnologia russa e operativa dal 2011, è dotata di sistemi di sicurezza, ma non è progettata per resistere a un bombardamento diretto. Un’escalation militare che includesse l’attacco a tale struttura rischierebbe di innescare un disastro paragonabile, per portata, a quello di Fukushima o Chernobyl.
L’AIEA resta sul campo, ma con personale ridotto
Nonostante l’instabilità crescente, l’Agenzia ha confermato la propria presenza in Iran, pur avendo temporaneamente ridotto il numero degli ispettori per motivi di sicurezza. «Manteniamo la capacità di monitoraggio in loco», ha ribadito Grossi, lasciando intendere la delicatezza della situazione e la volontà di restare operativi.
Ha inoltre rivolto un appello alle parti coinvolte affinché permettano all’AIEA di proseguire senza ostacoli nella propria attività di verifica e assistenza tecnica. «Sono pronto a partire immediatamente se necessario, per fare tutto il possibile affinché si proteggano gli impianti nucleari e i diritti all’uso pacifico dell’energia atomica.»
Una partita tecnica, ma dal valore politico
Nel momento in cui l’attenzione mediatica si concentra sulle mosse strategiche di Tel Aviv e Teheran, il messaggio dell’AIEA emerge come un richiamo alla responsabilità globale. La guerra nucleare non è solo quella delle testate balistiche: esiste anche un fronte “civile”, fatto di reattori, scorie e centrali che potrebbero diventare — per errore o per calcolo — il detonatore di una catastrofe ecologica.
Il rischio non è più confinato ai laboratori segreti o ai programmi clandestini. Oggi passa anche per impianti registrati e monitorati, come Bushehr, la cui vulnerabilità potrebbe trasformare un attacco militare in una tragedia per milioni di civili.
Il precedente ucraino: Zaporizhzhia
Non sarebbe la prima volta che una centrale civile finisce coinvolta in un conflitto armato. La guerra in Ucraina ha già mostrato quanto possa essere sottile il confine tra guerra convenzionale e rischio nucleare: la centrale di Zaporizhzhia, sotto controllo russo e più volte bersaglio di operazioni militari, ha fatto temere una nuova Chernobyl. Anche allora, l’AIEA ha mantenuto un presidio sul posto e ha più volte ribadito l’assoluta necessità di evitare qualunque operazione militare nelle vicinanze di impianti sensibili.
Il caso iraniano, dunque, non è isolato. E se la comunità internazionale non interverrà per garantire la neutralità e la protezione delle infrastrutture nucleari civili, la prossima crisi potrebbe non essere solo diplomatica. Potrebbe essere radioattiva.