Come mai a Vicenza mangiate i gatti? Oggi, giornata nazionale del micio, mi pare quella giusta per svelare questo giallo. Infatti, anche se vivo in Trentino non c’è persona che, informata delle mie origini, non mi sottoponga la domanda, lasciando trapelare una curiosità degna di miglior causa. Dunque vuoto il sacco, ripieno di leggende. La prima vuole che nel ‘400 i veneziani, invasi dai topi, si siano rivolti ai vicentini per avere dei gatti, che però costoro non seppero fornire asserendo che erano tutti spariti (se li saranno mangiati, pensarono a Venezia). Una seconda storia è quella di alcuni vicentini che, trovatisi a corti di gatti, ne chiesero a dei veneziani per poi non restituirli più (alimentando il noto sospetto).
Ve n’è poi una terza, basata su un fatto curioso: nel 1509, assaltando le mura di Padova, dei soldati berici si sarebbero visti mostrare, per derisione, una gatta appesa a una lancia (lo sfottò era riferito alla macchina da guerra conosciuta come “il gatto” e celava un invito: venite a prenderla, se siete capaci). Più verosimile di tutte, la pista della carestia: i vicentini, in periodi bui, per campare sarebbero giunti a trangugiare pure felini.
Da ultimo, va ricordato come tale Jerome Lalande, dell’Osservatorio astronomico di Parigi, nel 1765 abbia visitato una Vicenza allora molto degradata e violenta, al punto che si diceva la città fosse popolata da «vicentini, cani e gatti» oppure «magnagatti». Detto questo, preciso che non ho mai azzannato un micio, né il pensiero mi ha mai sfiorato. Potrei però mangiare un umano, ora che ci penso. Il prossimo che mi chiede di questa storia.