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Economia Editoriali

Contro il Coronavirus siamo davvero in guerra? Quali soluzioni furono usate in situazioni simili per far riprendere l’economia?

Negli ultimi giorni risuona dai media l’espressione dell’essere “in guerra” contro il coronavirus. Questo ha portato ad un mutamento delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti da un punto di vista sociale e porterà inevitabilmente con sé anche ingenti ripercussioni economiche. Ma quali furono queste conseguenze quando in guerra c’eravamo per davvero? E come furono affrontate?

L’Italia, così come tutta l’Europa, uscì dalla Prima Guerra mondiale con un’economia a pezzi: il sistema industriale era stato in buona parte convertito alla produzione di guerra, la produzione agricola fu razionata e soffriva di mancanza di manodopera, esportazioni e importazioni erano ormai compromesse dal deterioramento delle relazioni internazionali e dai crescenti protezionismi.

Così come l’economia, anche le finanze pubbliche non navigavano in acque migliori: l’indebitamento statale risultava triplicato rispetto al dopoguerra, la lira perse progressivamente valore e l’inflazione crebbe fino a toccare il 35% nel 1920.

Come se non bastasse, l’Italia, che pure era uscita vincitrice, non ottenne di fatto quelle promesse territoriali che erano previste nel segreto Patto di Londra, tant’è che si parlò di “vittoria mutilata”.

Al termine del conflitto ci fu una rapida successione di governi fino a quello che poi sarebbe stato l’avvento del fascismo: di fatto l’unico governo rilevante fu quello di Giovanni Giolitti.

Giolitti era ormai al suo quinto mandato, che durò dal 15 giugno 1920 al 4 luglio 1921, e come abbiamo visto non si ritrovava in facili condizioni.

Quando la recessione economica imperversa, inevitabili sono anche i tumulti sociali: Giolitti si ritrovò infatti a governare durante il “Biennio Rosso”, dove numerosi furono gli scioperi e le proteste tanto da parte degli operai quanto da parte degli imprenditori.

Innanzitutto, in un momento così delicato, la bravura del Presidente fu quella di non alimentare queste agitazioni sociali decidendo di non intervenire e lasciando che queste scemassero pian piano.

Dal punto di vista economico, in questi casi, quasi sempre le decisioni prese possono risultare più o meno impopolari. Quelle di Giolitti colpirono maggiormente i ceti più abbienti.

Fu immediatamente abolito il prezzo politico del pane, ovvero quella differenza che vi era tra il prezzo di acquisto del pane e il suo costo di produzione che veniva coperto dallo Stato, in quanto questo finiva per mettere eccessiva pressione sulle finanze pubbliche.

Venne poi presentata una riforma fiscale volta ad introdurre la progressività delle imposte. Oltre a ciò, il carico fiscale venne spostato verso le classi più agiate mediante altre manovre: in primis l’introduzione di un’imposta straordinaria sui profitti di guerra, in quanto alcune industrie avevano convertito la loro produzione verso forniture militari e riuscirono così ad avere ingenti guadagni durante la guerra; inoltre, venne in parte abolita l’esenzione fiscale sui titoli azionari e vennero inasprite le imposte sulla ricchezza mobiliare e la tassa di successione.

Tali provvedimenti furono, da un lato, ben accolti dal sistema finanziario, con le borse che ricominciavano a salire e la lira che andava rivalutandosi; dall’altro lato, si generò malcontento tra le file degli imprenditori.

Tale situazione economico-sociale si rispecchiava all’interno del Parlamento, dove Giolitti si ritrovò incastrato tra le istanze socialiste e quelle della destra, in particolare dei nazionalisti.

La naturale conseguenza fu che larga parte del programma giolittiano rimase inattuato. Oltretutto, erano ormai maturate le condizioni per l’ingresso in Parlamento dei fascisti che di lì a poco avrebbero preso il potere e, almeno inizialmente, impostato manovre di impronta più liberista, abrogando alcune delle misure adottate dal governo Giolitti.

La situazione odierna porterà con sé notevoli costi sociali ed economici che, pur non essendo minimamente paragonabili a quelli di un conflitto mondiale, avranno il loro tangibile impatto. Con tutta probabilità, ogni pacchetto di misure che verrà varato finirà con lo scontentare delle categorie piuttosto che altre, ma la speranza è che, nel complesso, saranno in grado di attenuare l’intensità del problema sull’economia reale.

Chi si ritroverà a governare finita l’emergenza, così come fu per Giolitti, avrà un compito non semplice e dovrà dimostrarsi in grado di mediare costi e benefici di decisioni politiche, ma anche di elaborare una visione di medio-lungo termine in grado di risollevare l’economia, che pure prima dell’avvento del virus peccava di questa mancanza.

Federico Fontanelli