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Attualità Esteri

Il “golpe” di Trump è già finito.

Trump, in un video pubblicato in rete nella tarda giornata di ieri, (poi bloccato, così come i suoi profili social Twitter, Instagram e Facebook) ribadisce che l’elezione è stata truccata, ma chiedeva ai manifestanti di rispettare i poliziotti e di andare a casa. Ma, l’alba del giorno dopo nella capitale degli Stati Uniti, Washington, lascia ulteriori dubbi ed interrogativi, oltre a quattro morti e decine di feriti tra i manifestanti.

C’è chi si chiede come abbiano fatto questi manifestanti pro-Trump ad entrare a Capitol Hill, e poi chi si domanda come mai vi fosse così poca polizia schierata, tra video di selfie tra manifestanti e poliziotti e altri in cui gli stessi (si ipotizza per una de-escalation) facevano passare i manifestanti oltre quelli che in teoria sarebbero dovuti essere i blocchi di contenimento adiacenti alla sede del Congresso americano, in cui si stava certificando la vittoria di Biden, ora a tutti gli effetti neo Presidente degli Stati Uniti d’America in carica già dal 20 gennaio.

Insomma, a non tornare ci sono molte cose, tra Repubblicani che abbandonano la nave (in primis il vice presidente Pence) e Democratici che ora sfruttano l’occasione per attaccare non solo Trump, ma l’onda populista a livello globale.

Secondo l’opinionista de La Verità, Giuliano Guzzo, ciò che è accaduto a Washington dimostra tuttavia come “la narrazione secondo cui alle irregolarità elettorali credeva ancora il solo Trump – abbandonato da famiglia, amici e dal maggiordomo -, ecco, non era esattamente precisa. Tanto per cambiare”. Per Mario Secchi, Agi, leader come Trump, come tutti “i leader carismatici, si illudono di poter plasmare la massa a loro piacimento e questa operazione a volte riesce, ma come il dritto ha sempre un rovescio: la massa diventa ingovernabile e finisce per possedere il politico. Donald Trump non sarebbe né il primo né l’ultimo in questa serie di figure tragiche”.

Sarà proprio così? O forse è il segnale di una crisi sistemica più ampia? Di una polarizzazione che (come emerso recentemente da un documentario su Netflix dal titolo ‘The social dilemma’) non lascerebbe scampo in un’era dominata dagli algoritmi e dalle preferenze sui social network?