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Dopo “il bavaglio” a Trump, l’Europa pensa alle contromisure per contrastare lo strapotere dei social network

Sono ancora nella memoria di tutti i fatti accaduti lo scorso 6 gennaio, quando i sostenitori di Donald Trump hanno preso d'assalto la sede del Congresso degli Stati Uniti presso Capitol Hill a Washington, causando numerosi disordini e portando alla morte di 5 persone.

Sono ancora nella memoria di tutti i fatti accaduti lo scorso 6 gennaio, quando i sostenitori di Donald Trump hanno preso d’assalto la sede del Congresso degli Stati Uniti presso Capitol Hill a Washington, causando numerosi disordini e portando alla morte di 5 persone.

A seguito di quell’attacco, anche in relazione alle dichiarazioni controverse rilasciate da Donald Trump, diversi social network tra cui: Facebook e Twich hanno deciso di sospendere a tempo indeterminato gli account ufficiali del Tycoon, mettendo (di fatto) un bavaglio sulla figura del presidente degli U.S.A. uscente.

Non solo, Twitter, è stata ancora più dura mettendo al bando Trump e stessa sorte è toccata a Parler, un social network molto utilizzato dai suoi supporter, cancellato dai principali store ufficialmente per la diffusione di contenuti inneggianti alla violenza.

La decisione, senza precedenti, di “mettere a tacere” una figura così importante come quella di Donald Trump (soprattutto considerato il suo ruolo) ha creato numerosi dibattiti anche in seno alle personalità di spicco della politica europea. Con numerosi esponenti che hanno giudicato quantomeno eccessivo il bavaglio imposto all’ormai ex Presidente degli Stati Uniti.

Tra questi spicca Angela Merkel che, attraverso il proprio portavoce ufficiale, ha fatto sapere di considerare molto pericolose le misure intraprese dai social network nei confronti di Trump: “È possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale. Questo è il motivo per cui il Cancelliere ritiene problematico che gli account del presidente americano sui social network siano stati chiusi in maniera definitiva”.

Questa tesi, condivisa da altri colossi della politica europea come Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato Interno, o il Ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, ha portato in evidenza la necessità di stabilire quali siano i confini entro i quali chi dirige piattaforme come i social network possano decidere (arbitrariamente o meno) di “mettere a tacere” una persona.

Lo stesso Thierry Breton, in merito ha sentenziato: “Il fatto che un Ceo possa staccare la spina dell’altoparlante del presidente degli Stati Uniti senza alcun controllo e bilanciamento è sconcertante. Non è solo una conferma del potere di queste piattaforme, ma mostra anche profonde debolezze nel modo in cui la nostra società è organizzata nello spazio digitale”.

Il filo conduttore comune di questi pensieri risulta essere molto chiaro, per evitare che fatti come quelli occorsi a Donald Trump possano ripetersi diventa fondamentale che l’Unione Europea si impegni attivamente per evitare che società quali i social network possano decidere di cosa è giusto o non è giusto parlare. Per raggiungere questo obiettivo è bene che si passi attraverso la redazione di un rigoroso approccio normativo, che possa garantire il rispetto della democrazia e della libertà d’espressione.

Tanto più che, come riportato da AGI, nei confronti di Trump sembra essere in atto un vero e proprio ostracismo. L’esempio più calzante è rappresentato da Parler, il social network utilizzato da molti dei sostenitori del Tycoon che è stato messo offline da Amazon attraverso la decisione di bloccare l’accesso ai suoi server e la cui app è stata cancellata dagli store di Apple e Google.

John Maze, cofondatore di Parler, durante un’intervista a Fox News ha inquadrato la situazione spiegando: “Faremo tutto il possibile per tornare online, ma tutti i provider che contattiamo ci dicono che non vogliono lavorare con noi se Apple e Google non approvano”, accusandoli poi di aver messo in atto una guerra contro la libertà di espressione.

Carlo Alberto Ribaudo