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Renzi, Mastella e tanti altri: i leader delle crisi di Governo

I primi giorni del 2021 sono stati segnati in maniera quasi assoluta dalla crisi di Governo che, per opera principalmente di Matteo Renzi, ha investito il Governo Conte II detto impropriamente “Giallo-rosso”. Impropriamente perché la componente viola di Italia Viva si è dimostrata a più riprese come quella più “vivace” di un Governo che ha avuto però su di sé la costante spada di Damocle della pandemia da Covid-19

Lo scontro tra Renzi e Conte si è acuito dopo le iniziali bozze dei piani di spesa del Recovery Plan, ovvero il cospicuo finanziamento europeo destinato all’Italia nell’ambito del progetto Next Generation EU e che verrà certamente usato per cercare di sanare l’economia nazionale dopo l’annus horribilis 2020. Ma sul piano di spesa di questi fondi e sulla presa di posizione – principalmente del Premier e del Movimento 5 Stelle – di non accedere al MES Sanitario Italia Viva e il resto del Governo hanno punti di vista nettamente differenti. 

Questo pomeriggio lo stesso Renzi terrà una conferenza stampa nella quale stabilirà il futuro della delegazione di IV nel Governo ma a prescindere dall’esito della conferenza stampa il clima che si respira è proprio quello delle vecchie crisi di Governo che hanno funestato le stagioni sia della Prima che della Seconda Repubblica

Bisogna innanzitutto ricordare che, dato il sistema Parlamentare della Repubblica italiana, le crisi e i rimpasti di Governo non sono infrequenti:

Basti pensare che nessuna legislatura è mai iniziata e finita sotto lo stesso Governo. Anche il più longevo, ovvero il Governo Berlusconi II nato dopo le elezioni politiche del 2001 fu costretto a cadere dopo le elezioni regionali del 2005, a un anno dalla scadenza naturale della legislatura e dopo più di 1.400 giorni di permanenza in carica, venendo sostituito dal Berlusconi III, frutto di un rimpasto. 

Le crisi di Governo sono però molto eterogenee: alcune scaturiscono da fatti per i quali i Governi si dimostrano impreparati o attaccati dall’opinione pubblica, altre per la mancanza dell’approvazione da parte delle camere di eventuali rimpasti o della loro stessa formazione, spesso si tratta dell’operazione di qualche leader politico che sfrutta delle situazioni di debolezza dell’esecutivo per calcare la mano e ottenere visibilità. 

Il primo di questi leader, anche se con degli intenti ben diversi da quelli che hanno animato i suoi successori, fu Giuseppe Saragat.

Il fondatore del PSDI, partito che divenne poi fondamentale nella formazione dei cosiddetti Governi del Pentapartito, contribuì in modo decisivo alla caduta del Governo De Gasperi II: la sua corrente minoritaria all’interno del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria arrivò a un attrito tale nei confronti di Pietro Nenni da comportare la scissione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), ovvero l’antenato diretto del PSDI. La perdita di circa 50 parlamentari per i socialisti comportò la fine del Governo e a nulla servì il disperato tentativo, perpetrato da Sandro Pertini nel corso del congresso socialista, di tenere unito il partito. 

Sempre socialdemocratico fu Matteo Matteotti, figlio di Giacomo e Segretario del PSDI che, il 17 aprile 1957, decide di dimettersi dal ruolo di segretario dopo che la maggioranza del partito ha accettato di continuare a far parte del Governo Segni I, targato DC-PSDI-PLI. Il governo, indebolito dal mancato appoggio esterno del Partito Repubblicano – passato all’opposizione dopo il mancato inserimento di loro ministri – vide così sfilarsi anche i socialdemocratici nel corso della segreteria Tanassi. Essendo i soli liberali non sufficienti ad assicurare alla DC una maggioranza stabile, il futuro Presidente della Repubblica Antonio Segni si dimise. Il PSDI si renderà poi protagonista della crisi di Governo del 1959, quando il Ministro del Lavoro Ezio Vigorelli presenterà – contro la volontà di Saragat – le dimissioni dal Governo Fanfani II che si vedrà costretto alle dimissioni. 

Il 1960 è invece segnato dalla crisi di Governo lanciata da Giovanni Malagodi, esponente di punta del PLI che criticò duramente la Democrazia Cristiana dopo la formazione della Giunta regionale in Sicilia.

Le elezioni regionali, infatti, portarono a un esito incerto, sciolto solo dalla decisione dei democristiani di unirsi al Partito Socialista e al PSDI per arrivare alla maggioranza regionale insediando un suo Presidente di Regione, il tutto condito da uno scandalo di corruzione. I liberali, insoddisfatti da questa evidente apertura a sinistra, lasciarono il Governo costringendo Segni a dimettersi nuovamente. 

Neanche il politicamente immortale Giulio Andreotti fu immune dalle crisi di Governo: Ugo La Malfa, segretario del PRI, indicò ai suoi componenti nel Governo di lasciare l’esecutivo in contrasto con la riforma televisiva voluta dai democristiani e dai liberali, con Malagodi che ebbe la guida sostanziale della politica economica in quella stagione. La caduta del Governo Andreotti II portò alla nuova affermazione del Centro-sinistra “organico” comprendente PRI, PSI e PSDI. 

Una crisi “mediatica” fu quella che portò alla fine del Governo Moro V nel 1976.

Il Governo “di minoranza” composto dal centro-sinistra alternativo ai comunisti venne infatti affondato da un editoriale di Francesco De Martino, segretario dell’epoca del PSI, sulla rivista socialista Avanti!. La caduta di Moro portò alla sempre più ampia apertura ai Comunisti, fino alla tragica scomparsa del leader democristiano per mano delle Brigate Rosse. 

Curiosa, invece, la crisi che portò alla fine del Governo Spadolini II: il primo premier non democristiano della storia repubblicana si trovò nella condizione di doversi dimettere dopo la cosiddetta “lite delle comari”, tra il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta (DC) e il Ministro delle Finanze Rino Formica (PSI). Casus belli fu l’aver sollevato, da parte del Ministero delle Finanze, la Banca d’Italia – guidata all’epoca da Carlo Azeglio Ciampi – dall’obbligo della garanzia del collocamento integrale in asta dei titoli pubblici offerti dal Ministero del Tesoro. L’economista trentino Andreatta disse che il PSI aveva una visione “nazionalsocialista” dell’economia, scatenando le ire di Formica e dei socialisti. Il democristiano poi spiegò che intendeva parlare di un “socialismo nazionale” e non certo di nazismo, ma la lite segnò la fine dell’esperienza governativa. 

A volte gli artefici delle crisi di Governo furono gli stessi Presidenti:

È il caso di Bettino Craxi che nel 1986 fece cadere il suo Governo rifiutandosi di rispettare il patto, sottoscritto con la DC nel 1983, di dare vita a una “staffetta” col segretario democristiano Ciriaco De Mita, cedendo a quest’ultimo la “campanella” di Palazzo Chigi dopo due anni e mezzo di governo. De Mita si dovrà poi dimettere nel 1989 allo sfilarsi del leader socialista dal suo Governo. 

Il primo governo della Seconda Repubblica, ovvero il primo governo di Silvio Berlusconi, cadde per mano di Umberto Bossi, segretario federale della Lega Nord. In questo caso l’oggetto del contendere fu la Legge Biondi, ovvero l’iniziativa da parte del Ministro della Giustizia di un decreto legge che avrebbe favorito gli arresti domiciliari per i condannati nell’inchiesta di Tangentopoli. La Lega, che aveva fortemente cavalcato l’ondata di odio verso la classe politica primo repubblicana, respinse questa possibilità e nonostante il ritiro del decreto la frizione fu insanabile.  

La prima crisi in Aula caratterizzò invece la fine del Governo Prodi I. 

Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione Comunista, annunciò il passaggio del suo gruppo parlamentare all’opposizione del Governo, essendo contrario ai contenuti della Legge Finanziaria del 1998 e dopo aver maldigerito la riforma delle pensioni operata dal Professore. A nulla servì la scissione di Rifondazione, con Cossutta e Diliberto che formarono il Partito dei Comunisti Italiani: per un solo voto Prodi perse la fiducia alla Camera, venendo costretto alle dimissioni. 

Artefice di uno dei più grandi intrighi di palazzo della storia repubblica è Clemente Mastella. Ministro della Giustizia nel Prodi II, il leader dell’UDEUR viene indagato per concussione dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere e decide di dimettersi in modo irrevocabile, lasciando nelle mani del Premier l’incarico ad interim assicurando che il suo partito avrebbe comunque dato appoggio esterno al Governo. 4 giorni dopo, invece, l’UDEUR passa all’opposizione data la “mancata solidarietà” all’ex ministro per la vicenda giudiziaria. Tre giorni dopo, il 24 gennaio 2008, al Senato Prodi perde la sfida della fiducia. 156 i sì e 161 i no, tra cui due voti dell’UDEUR risultati alla fine decisivi. 

L’ultima crisi di Governo precedente all’attuale fu quella scatenata nell’estate 2019 da Matteo Salvini

Quando abbandonò il Governo favorendo la nascita del patto tra Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Italia Viva. Se adesso sarà Renzi a staccare la spina al Governo non è dato saperlo, di certo la compagnia di politici che hanno agito con astuzia e furbizia cambiando le sorti della Repubblica si sta arricchendo di nuovi personaggi, sempre più variegati. 

Riccardo Ficara Pigini