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Attualità Diritto Un bergamasco in Rendena

L’ombra dell’ideologia su certi errori della magistratura.

Immaginatevi un palcoscenico, in un teatro buio: soltanto un riflettore illumina intensamente uno spazio circolare.

Il pubblico è silenzioso e attento: c’è una certa elettricità nell’aria. Si sente uno scalpiccio: arriva trafelato un attore che, giunto al centro esatto del cono di luce, urla con tutto il fiato che ha in corpo: “Roma è governata dalla mafia!”.

Sipario. La gente applaude e defluisce dal teatro, assai impressionata: c’è chi commenta dicendo che l’aveva sempre pensato, chi dice che quel sindaco aveva un certo non so che, chi aggiunge che una certa parte politica non si smentisce. Insomma, lo spettacolo è un successo clamoroso: ne parlano tutti i giornali, si sprecano le recensioni positive dei maggiori critici teatrali, il titolo della pièce, “Mafia Capitale”, diventa un luogo comune, una vox media, una catacresi.

A nessuno viene in mente che si tratti solo di teatro: che un attore abbia recitato e che un autore abbia scritto il laconico copione. Dal palcoscenico alla vita, “Mafia Capitale” diviene la metafora di un intero universo, i cui abitanti sono guardati con tutta l’esecrazione che meriti un imbroglione ai danni della comunità.

Sette anni dopo, in un piccolo teatro di periferia, davanti a un pubblico annoiato, senza luci né musiche di sottofondo, un attore pressoché sconosciuto, ma d’immensa autorevolezza, si presenta in scena, senza fronzoli, e, srotolato un foglio, proclama: “Roma non era governata dalla mafia!”.

Sipario. La gente, delusa piuttosto che sorpresa, rimane in attesa di qualcos’altro. Poi, visto che nulla accade, comincia a lasciare la propria poltroncina e si avvia all’uscita. Uno dice: non me l’aspettavo. Un altro non ci crede. Un altro ancora proclama che un giudice non può inventarsi una cosa così di sana pianta. Alla fine, quasi tutti tornano a casa, esclamando, con un’alzata di spalle: meglio così!

Intanto, però, sono passati sette anni. Ne succedono di cose in un periodo così lungo: si fa in tempo a dimenticare tante cose, in sette anni. Gli unici che non dimenticano, per solito, sono i protagonisti della vita vera: quella che si recita fuori dai teatri, sulla strada, nelle aule di tribunale, nei penetrali della politica.

Ecco, noi questa doppia pièce teatrale non ce la vogliamo più scordare, perché ha gettato fango su di una comunità e, poi, ci ha detto che la giustizia si era sbagliata: era stata ingiusta.

Senza scusarsi, senza cercare di rimediare, senza neppure un inchino al pubblico pagante. E, ogni volta che un giudice in vena di pubblicità, ogni volta che un teorema maturato all’ombra dell’ideologia, cercherà di distruggere l’immagine di persone perbene, ci sentiremo autorizzati a puntare il dito e a ricordare: Mafia Capitale!

E questo non è teatro: è la vita vera.

Marco Cimmino