L’Unione Europea, per non correre il rischio di rimanere sempre più isolata sul piano internazionale, ha istituito il ruolo di inviato speciale nei Paesi del Golfo Persico, nel tentativo di potenziare i rapporti diplomatici con l’area a livello energetico, ma non solo. E la nomina, seppur provvisoria, di Di Maio, non è passata inosservata. Tanto che le stesse istituzioni della regione si sono chieste in quest’ultime ore se non fosse uno scherzo, e pure di cattivo gusto ritenendolo dannoso più che utile nello “sviluppare relazioni positive tra la regione del Golfo e i Paesi europei”.
«La nomina di Luigi di Maio deve avere un profondo senso dell’umorismo europeo che mi sfugge» ha infatti commentato il capo del Centro di ricerca sulle politiche pubbliche di Dubai, Mohammed Baharoon. E così, dopo aver lasciato per lungo tempo la diplomazia in mano ai singoli Stati, sopratutto sul fronte energetico, i nuovi scenari che si stanno aprendo sottolineano quanto le politiche europee su questo fronte siano carenti e fallimentari, per non dire ridicole, in un momento in cui le stese dovrebbero giocare un ruolo fondamentale ed unitario nella gestione comune delle risorse. Questo a dimostrazione di quanto la gravità della situazione in cui versa l’Unione, soprattutto da questo punto di vista, sia stata finalmente recepita a Bruxelles, seppure in maniera decisamente tardiva e sottostimata. La preferenza per Di Maio fra i candidati – ancora da finalizzare – dimostra infatti quanto poco la cosa sia stata presa seriamente e quanto poco siano adatte le istituzioni europee a fare seria diplomazia, forse prese maggiormente dai giochi interni di palazzo. Josep Borrell e un panel di esperti ha indicato Di Maio come favorito in una lista di candidati la cui preparazione fa impallidire “er bibbitaro” nostrale. Tra laureati ad Harvard e Cambridge, tanto per citare due delle università più importanti al mondo.
Ogni Stato membro ha avuto modo di indicare una sua preferenza e anche lo stimato ex Premier e banchiere Mario Draghi avrebbe spinto per Di Maio. Forse, anche grazie alla cieca fiducia nel “governo dei migliori”, ha passato le selezioni iniziali per approdare in Europa, anche se il nuovo esecutivo si è già detto contrario a tale nomina. Oltre alla scarsa preparazione del soggetto, viene da chiedersi se sia sufficiente una passata esperienza come ministro degli Esteri per ricoprire una posizione di inviato speciale, con risultati forse più dannosi che altro vista la scarsa preparazione dimostrata in questi anni, tra gaffe, numerosi errori e dossier bollenti.
Come è stato sottolineato anche in Inghilterra e in Francia (dove la diplomazia la sanno fare) il fatto che Di Maio abbia mandato in fumo un affare multimilionario di vendita di armi verso Emirati Arabi e Arabia Saudita nel 2021 per il mancato rispetto dei diritti umani in Yemen – una guerra che andava avanti da 10 anni quando Di Maio ha annunciato la sua mossa brillante – appare gravissimo. Probabilmente spinto da un lato dalla necessità di distinguersi politicamente da Renzi e di dare un’immagine di superiorità morale, dall’altro dal bisogno di seguire Washington, che in quel momento stava prendendo posizioni simili dopo il delitto Kashoggi, anche spinta dalla necessità di contro-bilanciare i delicati equilibri con l’Iran.
Eppure nonostante le sue comprovate doti relazionali da Ministro degli Esteri, “Giggino”, pare non aver compreso l’essenza vera della diplomazia. Anche altri Stati, quali Germania e Inghilterra, hanno bloccato la vendita di armi per compiacere gli Stati Uniti, ma l’Italia è l’unica che ne ha subito le conseguenze, col blocco della concessione della base militare di Al Minhad, per via del modo lesivo in cui è stata comunicata la notizia dall’allora Ministro. La cosa pare essere ancora poco chiara in Italia – solo gli addetti ai lavori si preoccupano del fatto che gli emiratini minaccino di chiudere i rapporti con Italia e UE e di quello che comporterebbe – ma Draghi non può avere ignorato la gravità della situazione, come anche a Renzi non sarà sfuggita l’importanza di mantenere un dialogo con le monarchie petrolifere in ascesa quali alleati militari occidentali in Medio Oriente. Anche per questo, forse, è stato aspramente criticato dai nostri media, i quali hanno preso il vizio di impartire lezioncine su come si fa la guerra e la diplomazia seguendo la “strada” moralizzante di Di Maio in politica estera.
L’Unione europea, dopo aver trascinato pericolosamente i suoi Stati membri vicino a un conflitto frontale con la Russia, cerca ora di correre ai ripari ritagliandosi un ruolo centrale in questa nuova guerra fredda innescata dal conflitto russo-ucraino, in cui l’UE sembrerebbe perdere potere contrattuale nello scontro diretto ed indiretto tra le parti. Dall’inizio della guerra, il tira e molla occidentale verso i suoi alleati orientali ha iniziato a pesare. Per l’Ue la diplomazia sembrerebbe esaurirsi con una serie di richieste e buffetti, senza però tenere conto degli interessi degli alleati GCC.
Rimane un mistero la nomina provvisoria di Di Maio: la stima internazionale per Draghi è tale da portare l’Unione europea a isolarsi da una delle poche altre fonti di approvvigionamento energetico al mondo oltre la Russia? O i burocrati di Bruxelles tengono talmente tanto al finanziamento che va dalle batterie alle terre rare africane e cinesi da voler tagliare i rapporti col vicinato eurasiatico? Magari sono davvero così miopi da credere che l’ipocrisia della retorica europea possa continuare ad libitum senza che questo tira e molla porti, infine, alla dismissione dell’Europa dalla scena internazionale.