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Il Post-It di Marco Vannucci: Botta, risposta, e razzismo. Caro direttore, che dire?

Sarò sincero: nemmeno mi attendevo 2 righe di risposta, viceversa mi sono visto sbattuto in prima pagina nel nostro giornale (lascia che sussurri l’appartenenza con l’articolo possessivo) con un pezzo stile sussidiario, tale da consumare un paio di sigarette durante la lettura. Troppa grazia, Direttore!

Ah, direttore, poiché direttrice mi ricorda la canzoncina imposta dalle educatrici, ma al tempo appellate semplicemente come signorine, in colonia estiva tutte le mattine che il Padreterno dava luce alla Terra. Rammento ancora il ritornello, sai? Più o meno ripeteva così: e noi vogliamo tanto bene alla cara direttrice…  In verità la odiavo, come odiavo la sua severità, aberrante per il mio modus vivendi di monello e per la forma mentis mai modificata col tempo, ovvero la libertà mentale, direttore.

Scrivi di essere una liberale incallita, lascia che sorrida. Mai visti i liberali pullulare in ogni dove ed in gran numero come di questi tempi. Ahimè avendo l’età per ricordare la prima Repubblica, ed il partito di Giovanni Malagodi, ricordo quattro gatti in tutto. Oggi chiunque si professa liberale, ma da dove siete usciti? Sinceramente provo timore per tutti questi liberali, già definiti tanti anni fa come esseri amorfi. Non ho mai invitato un liberale a tavola. Né carne e né pesce, così venivano definiti, pensando se non fossi stato attento mi avrebbero mangiato anche la tovaglia.

Sono agli antipodi del conservatorismo liberale, direttrice, preferisco l’espressione sociale della rivoluzione e del socialismo, ma di quella rivoluzione e di quel socialismo! Prima del sottoscritto fu un altro nel diffidare dei liberali convenuti nel suo partito, cavolo, ebbe ragione! Infatti, da lì a poco, iniziò il declino. Chi sto citando? L’uomo di Dovia, Direttore, per questo ti rimando al suo discorso in quel di Milano, nel 1931, dove diffidò dei liberali convenuti nel fascismo. Ti anticipo, sono un nostalgico: già lo sapevo. Cosa vuoi fare, direttore, provo nostalgia per lo Stato di diritto; nostalgia per il corporativismo, per il bene comune, per il pane ed il lavoro per ogni cittadino.

Anche per una casa per tutti sono nostalgico. Avverto la nostalgia del debito pubblico pagato, delle grandi opere, della sicurezza e dell’uguaglianza dei diritti e nella socialità. Sai, direttore? Non più tardi della settimana scorsa ho avuto il piacere di visitare il Villaggio Crespi, a Crespi d’Adda, in Lombardia. Un villaggio, ma che dico villaggio? Un vero e proprio paese costruito e voluto da Beniamino Crespi, nei primi anni del secolo scorso, riconosciuto come il Villaggio Operaio. Sicuramente conoscerai sia il Villaggio nonché la storia di Beniamino Crespi, l’industriale dei filati di cui prendeva il nome la sua fabbrica all’interno del paese, ebbene, direttore, dimmi un perché a distanza di 100 anni ripetere tutti quei privilegi che ebbero i lavoratori dell’azienda di filati?

Una casa, e che casa! Una villetta! Il dopolavoro, il pronto soccorso, l’asilo gratuito, da sommare ai corsi ricreativi come la scuola di musica, di teatro, eccetera eccetera. All’interno della fabbrica esisteva lo spazio per i bambini, con tanto di educatrici al seguito, oggi discutiamo ancora su questo diritto non riconosciuto. Dimmi tu, direttore, come non dovrei provare nostalgia di quell’Italia!

Del festival di Sanremo, cos’altro dire? Dopo una serata tranquilla com’è stata la seconda, arricchita con la performance meravigliosa dell’improvvisato trio Al Bano / Morandi / Ranieri, a rompere l’incantesimo ci ha pensato la signorina Egonu nella sua conferenza stampa di oggi. L’Italia è un paese razzista, ha tuonato ai microfoni la campionessa di pallavolo. Sorbiamoci pure questa, applauso compreso dei convenuti. Ma davvero per razzista significa richiedere il rispetto delle regole e della Legge? Casomai è civiltà non razzismo, piaccia o non alla Egonu, però non capirò mai quando per ogni legittima opinione venga tirato fuori in ballo il razzismo… qualcosa non torna, non può tornare.

Intendiamoci, chi sono i razzisti? Non lo sono chi vorrebbe imporre la loro cultura da noi; non lo sono chi rapisce nei villaggi le ragazze nigeriane per portarle a battere i marciapiedi italiani; non lo sono gli scafisti pronti a mandare a morire dei disperati nel mediterraneo per lo sterco del diavolo; e non lo sono nemmeno i sempre santi rom per i quali, fidatevi, vederne uno stringere la mano ad un africano sarebbe paragonabile ad un miraggio.

Il mondo è bello perché è grande e vario, ma nella tratta maledetta, Marsiglia-Gibuti-Point Comfort in Virginia, di italiani nel ruolo di schiavisti non c’erano. Buon Sanremo, direttrice, per quest’anno ho già dato.

Alla prossima, magari il prossimo mese per continuare questo simpatico epistolario a favore dei lettori.

Marco Vannucci

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