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Marilyn – a piedi nudi sul vetro – VI parte

Nulla porta a ritenere che in casa, quel sabato, fosse ancora presente l’addetta stampa Pat Newcomb. C’era forse il giorno prima, ma doveva essersene andata in mattinata per i soliti attriti con la Monroe. Non è mai stato chiarito il ruolo di questa ragazza: vicina ai Kennedy, secondo alcuni la spiava per loro conto. Stando ad altri, Pat era semplicemente gelosa, in quanto amante di Bob Kennedy. In base a resoconti meno fantasiosi, la sua giovanile vitalità – era sui venticinque anni – unita  alle lunghe e sane dormite che si faceva quando era lì ospite, irritavano oltremodo Marilyn. I più maligni accusano proprio la Newcomb di essere l’autrice, o ispiratrice, delle telefonate anonime che ogni tanto tormentavano Marilyn, che peraltro disponeva di due linee, una a conoscenza solo di pochi amici.

Vediamo Peter Lawford e i suoi magheggi:

le volevo bene, e anche mia moglie la adorava” ( sia lui che la consorte Patricia Kennedy erano forti alcolisti e il matrimonio durerà ancora per poco).

Quella sera l’avevo invitata a una festa a casa mia, ma al telefono lei mi rispose con la voce impastata dicendo ” saluta il presidente e anche te stesso, che sei un bravo ragazzo”

le urlai di non fare pazzie, ma lei riagganciò“,  o mollò la cornetta a conversazione aperta, come era sua abitudine: ma abbiamo visto che nessuno lo udì rivolgere questa supplica urlata

“non mi perdonerò mai di non essere accorso da lei”.

Lawford continuò nella sua carriera con ruoli mai eclatanti, conservando una reputazione ambigua, fino alla morte, sessantenne, nel 1984, sposato in quarte nozze la giovane Patricia Seaton. Ci lascia di lui sostanzialmente il ricordo di un “triste sibarita”, come lo ha definito Anthony Summers.

Sgombrato il campo da colui che in Helena Drive quella sera non c’era o non poteva provare di esserci stato; messa da parte una dichiarazione raccolta senza prove, di uno chef dell’epoca, che sosteneva di aver recapitato da Marilyn una “cena per due” particolarmente raffinata per qualche ospite d’eccezione, nel fine settimana fatale; resta una sola persona, incredibilmente, depositaria della verità e sulla quale, nel terzo millennio, si sono appuntati tutti gli interrogativi che circolano sostanzialmente nei documentari usciti nel frattempo: la governante, Eunice Murray (1902/1994).

Di lei si è occupata, in un libro, Elisabetta Villaggio, figlia di Paolo, la quale ci parla di punture trovate all’altezza del cuore dell’attrice. Le punture al petto di solito venivano praticate per far rinvenire ed erano a base di adrenalina, una sostanza che, si dice, veniva abitualmente utilizzata in quegli anni per “tirarsi su” e mantenere una pelle fresca.

Eunice, nativa dell’Illinois, viene classificata in web come “arredatrice” e scrittrice. Poco si sa della sua prima qualifica; scrittrice, una tantum, lo è stata in seguito, quando uscì un suo libro, “The last months”, coautrice Rose Shade, nel 1975, studiato per rispondere alle accuse sul ruolo svolto nella morte della sua celebre datrice di lavoro.

Nelle foto di Eunice vediamo sempre una vecchia signora dal tipico stile americano di provincia, trascurata e avvizzita, che immaginiamo con vestito a fiori e cappellino. Aveva tre figlie (una di nome Marilyn) e un genero, almeno quello più conosciuto, Norman Jeffries, che la mattina di sabato era lì; ufficialmente andò via prima del pomeriggio, turbato dal malessere della Monroe, che in seguito  riferì ai cronisti.

Anthony Summers trovò la Murray, non senza fatica, nel 1983, in una roulotte di Santa Monica (anche se poi morirà in Arizona), condurre un’esistenza non brillante dopo, forse, un passaggio nel Regno Unito: tanto, secondo i complottisti, proverebbe la sua appartenenza ai servizi segreti. Una 007 ridottasi in miseria, usata e gettata.

Nasce la seconda teoria complottista: dopo Kennedy/mafia, quella Kennedy/Murray. Dunque, per ipotesi degli studiosi del caso, tutto si sarebbe scatenato perché Marilyn, accortasi del  comportamento sospetto della collaboratrice, l’avrebbe voluta licenziare. Con la scusa di lavori alle tubature, Eunice chiamò Norman, il genero tuttofare e, insieme a lui e d’accordo con i “capi” dell’intelligence, verso sera la uccise. Motivo dell’omicidio, comunque già messo in conto, era anche l’instabilità della diva:  se anche non andava a letto con i fratelloni, ne avrebbe maliziosamente vantato la conoscenza, arrivando a disturbare gli equilibri politici già precari: eterogenesi dei fini. La cornice medica sarebbe poi stata sistemata dallo psichiatra Greenson, con l’internista dottor Engelberg, accorso subito dopo, e i medici legali in combutta con la procura e l’FBI.

Dichiarò il paramedico James C. Hall” “Era nuda. Non aveva addosso un lenzuolo o una coperta. Non c’erano bicchieri d’acqua. Non c’erano alcolici. Abbiamo riscontrato che il suo respiro era corto, il polso molto debole e rapido e non era cosciente. Non c’era traccia di vomito, insolito per una overdose che era ciò che la governante pensava avesse avuto. Non proveniva odore di droga dalla sua bocca. Un altro sintomo classico. Poi è arrivato Greenson dicendo “Sono il suo dottore”e le fece un’iniezione di pentobarbital direttamente nel cuore”.

Spariti subito i tabulati telefonici si passò alla seconda fase, il racconto favolistico della cenerentola hollywoodiana, uccisa dalla crudeltà umana e dal peso del successo.

Modalità dell’omicidio: o il famoso clistere (rieccolo) o iniezioni. Per rafforzare questa tesi, si cita una conversazione registrata, quella in cui Eunice chiama la Polizia dicendo che la Monroe si era suicidata ( come faceva a saperlo di già?); e una sua frase sibillina, riportata da diversi presenti dopo l’ennesimo assalto dei reporter, in cui lei sussurra qualcosa di simile a ” per quanto tempo ancora dovrò continuare con questa farsa?”.

Si punta il dito anche contro la fretta della Murray nel fare pulizia.  Il sergente Clemmons notò che la lavatrice era in funzione; lei stessa, nel libro, ammette di aver lavato dei panni, vestiti o ammennicoli tipo fazzoletti, e, appena uscita la salma, anche tutto il resto, lenzuoli compresi. Nessuno si preoccupò di cintare l’area, tanto si trattava di suicidio…

Lo psichiatra Ralph Greenson (1911/1979) ha sempre suscitato pesanti sospetti e sussurri di bassa lega; fu esplicitamente accusato in un libro “ Marilyn Monroe: Caso Chiuso, di Jay Margolis e Richard Buskin, uscito nel 2014, di essere l’esecutore materiale del delitto;  anche se un altro libro del 2006, ” Marilyn dernières séances (Marilyn, le ultime sedute)”, di Michel Schneider, si era preso la briga di difenderlo

Emerito studioso freudiano, frequentatore dei massimi consessi mondiali di psichiatria, autore di pubblicazioni molto considerate, con diversi clienti famosi, Greenson è rimasto sempre in possesso dei nastri delle sedute con la Monroe, capitati in mano al procuratore Miner, che curava l’inchiesta sulla morte dell’attrice; in seguito se ne è appreso il contenuto. Si trattava di confidenze intime ed estreme, come accade in questi casi ma, visto il tenore si scatenò un inferno di chiacchiere.

I detrattori di Greenson parlano di un circuito diabolico: la psichiatra di Marilyn a  New York, Marianne Kris, l’aveva fatta ricoverare e lei aveva dato di matto, chiamando Joe di Maggio a liberarla; girano sempre le immagini di Marilyn che esce cercando di coprirsi il viso, affranta, strinata, spettinata.

In questo humus infido Kris le consiglia di rivolgersi, una volta a Los Angeles, a Greenson; Greenson le trova come governante la Murray e come legale suo cognato, Milton Rudin. Gli psichiatri che gravitano intorno a lei si occupano anche di suoi conoscenti o parenti o ex, e avrebbero condotto delle danze di condizionamento. Greenson inoltre, pochi giorni prima della tragedia, torna precipitosamente da un viaggio in Europa per seguire Marilyn ( e allarmato da chi, se non dalla Murray?), esi materializza quando Eunice lo chiama, quella notte.

Le dichiarazioni dei presenti non sono state messe in discussione più che tanto. Se Eunice sosteneva di essersi allarmata per un sesto senso a mezzanotte e Greenson di essere arrivato alle tre e mezzo, e non si è compreso cosa sia accaduto in quelle ore di vuoto, nessuno potrà chiederlo più, scomparsi gli interessati. Potrebbero “cantare” dei loro discendenti, ma siamo alle informazioni di seconda o terza mano; o dovrebbero uscire ulteriori documenti con dichiarazioni clamorose contenute in qualche cassaforte.

A meno che non si decida a parlare colui che fece l’autopsia, il discusso dottor Noguchi classe 1927, o che egli non abbia lasciato scritto qualcosa da pubblicare dopo la sua morte, di più concreto non c’è assolutamente nulla; o né alcuno di vivente in grado di parlare.

Nel 2012 Francesco Mari ed Elisabetta Bertol, docenti di tossicologia forense all’Università di Firenze, e Barbara Gualco, docente di criminologia nella stessa università, che si sono occupati anche della morte di Pacciani, (per molti un omicidio mediante veleno), hanno pubblicato un libro, dal titolo ” L’enigma della morte di Marilyn Monroe. Cursum perficio”.

Ricordiamo che “Cursum perficio” era la scritta all’ingresso della villa dove Marilyn morì, acquistata poco tempo prima, e significa ” sto per finire il mio cammino”, un particolare intrigante. Ma i tre di importante indicano altro, rilanciando palla alla governante, che sarebbe in pratica la responsabile della sua morte, intenzionalmente o meno.

Lo psichiatra Piero Rocchini ha fatto notare che era relativamente facile indurre un soggetto del genere a togliersi la vita, ma l’istigazione al suicidio è un reato la cui importanza viene rilevata solo da pochi anni; qualcuno, ricordando i commenti di Edoardo Sanguineti su Pierpaolo Pasolini, ha rispolverato la locuzione ” suicidio per delega”.

Personalità di un certo tipo si metterebbero in condizioni tali da esporsi alla morte permano di altri, inconsapevolmente eletti a carnefici, e tra questi potrebbe rientrare Eunice Murray; la quale, resasi magari conto di un errore nel compiacere la padrona di casa, per averle portato l’acqua e le pillole proibite dai medici o per aver accettato di farlo col famoso clistere o una puntura, in seguito si sarebbe protetta da accuse eventuali, con l’avallo di Greenson e di tutto un sistema che non voleva grane.

Ricapitolando: pillole forse, ma non c’era acqua nei dintorni; punture, Noguchi dice di non averne trovato traccia. Rimane il clistere, infatti all’autopsia il colon risultò molto infiammato.

Appare usurata la storia dei fratelli Kennedy che usano e gettano la poverina, di John che manda Bob a scaricarla e tutto il resto ascoltato e letto all’infinito. Magari è vero, si saranno divertiti insieme e lei avrà chiamato qualche volta di troppo ( forse più per la carriera, che per un improbabile, agognato matrimonio): ma ci pare una ricostruzione, in fondo, più insultante, per lei, di un suicidio.

Gli eredi di Marilyn sono gli Strasberg. Lee è morto nel 1982, preceduto di molto dalla prima moglie Paula, mentore dell’attrice, scomparsa nel 1966. E’ mancata prematuramente anche la figlia Susan, nel 1999. Rimangono dunque la vedova Anna e altri figli: se esiste qualcuno in grado di conoscere di più, in quella famiglia va cercato, ma nessuno di loro sembra particolarmente desideroso di aprir bocca.

E’ il caso di citare due libri alla base della cultura hollywoodiana: “Hollywood Babylonia” di Kenneth Anger ( prima pubblicazione 1959) e “Il sofà del produttore”, di Selwyn Ford (1991).

Se il luciferino Anger apre spiragli di pietà, Ford non sembra averne per nessuno dei partecipanti al balletto rosa degli studi, bollando le attrici di irrimediabile tendenza alla prostituzione come dado da tirare, sperando esca il numero giusto. Il libro si conclude proprio con Marilyn.

L’autore, che vanta conoscenze profonde e confidenze inedite, in realtà non trova di meglio che attaccarsi nuovamente al trittico Monroe/ Kennedy, dando lei come ricattatrice dei due a causa di una gravidanza e citando a involontario testimone proprio il lubrico Peter Lawford. Quindi la diva si sarebbe ritrovata incinta e avrebbe abortito nel penultimo week end di vita: a questo si doveva la sua disperazione, immortalata nelle ultime immagini.

Quei leggendari scatti che la ritraggono sulla spiaggia consegnano in effetti un corpo molto dimagrito e un viso smunto, ma le cause possono essere molteplici: una dieta, nuovi farmaci, e un disagio iniziato come minimo nel 1961. Il dottor Noguchi non rilevò tracce di aborti recenti.

Forse, invece, Marilyn è stata vittima di un solo complotto, quello ordito da lei contro se stessa, contro la sua luce che aveva spento pretendendo troppo da Norma Jean: la paffuta bambina californiana dai capelli dorati, la Kitty che camminava sui cocci di bottiglia.

Carmen Gueye

Riguardo l'autore

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Carmen Gueye genovese laureata in lettere antiche, già pubblicista e attiva nel sociale, è autrice di romanzi, saggi e testi giuridici