“La Rivoluzione Romana” (Einaudi, 2014) di Ronald Syme segna una svolta storica nello studio dell’antichità; e non solo romana. Syme inaugura un nuovo paradigma che oltrepassa, e oblitera, quello dei “mostri sacri” della storia tradizionale Theodor Mommsen e Eduard Meyer. Come scrive lo storiografo italiano Arnaldo Momigliano nella prima recensione al testo, quello di Syme è semplicemente il miglior libro mai scritto sulle circostanze che determinarono la “rivoluzione romana”, ossia il passaggio dal regime repubblicano a quello augusteo. Andiamo a vedere perché.
Ronald Syme ai tempi dell’uscita de “La rivoluzione romana”.
“La forma costituzionale non aveva importanza: loro erano più antichi della repubblica romana.”
“Si davano il nome di optimates (i migliori) e non sarebbe inesatto qualificarli una cricca.”
“Rimessi al potere da un autocrate militare, arricchiti da proscrizioni e assassini… Mancava loro sia un ideale che gli garantisse intima concordia, sia il coraggio per attuare le riforme.”
PERCHE’ LEGGERE LA RIVOLUZIONE ROMANA?
Un paio d’anni fa la curiosità ci spinse a cercare una data per collocare nel passato la nascita del mecenatismo filantropico. C’è chi come Charles F. Potter e Manly Palmer Hall non avevano dubbi nel situare tale momento nell’Antico Egitto, con più precisione, con l’avvento del faraone Akhanaton, vero padre del liberalismo. E c’è chi, indagando molto meno seriamente e molto più superficialmente dei predetti, si rese presto conto che il primo filantropo nella storia romano-latina, sia, guarda caso, anche il padre della stessa: Erodoto. In luce degli esiti della nostra ricerca, una consapevolezza s’è cristalizzata in noi: ossia che credere alla visione tradizionale che ci viene comunicata sulla Roma antica da gente come Erodoto o il padovano Tito Livio, sia un po’ come credere a una storia contemporanea raccontataci dai tre dell’Ave Maria mondialista, George, Bill e Klaus. Approccio tanto ingenuo quanto autolesionistico. E infatti, ciò che contraddistingue l’opera di Syme è proprio la bussola storica usata dall’autore neozelandese nella sua indagine tra i veri storici dell’era romana: Tacito, Sallustio e Asinio Pollione, oltre allo storico inglese del diciottesimo secolo Edward Gibbon. Prima d’addentrarci nell’analisi del testo di Syme, ci sia concessa una rapida digressione su alcune considerazioni di Pollione su Tito Livio. E’ stato molto interessante, per un padovano scettico di pressoché ogni proposizione, e negatore di qualsivoglia “verità” frutto della contemporanea informazione, notare quanto riporti Syme sulla visione che Pollione aveva della storia tramandataci da Tito Livio. Secondo Pollione, tutta la storia romana è caratterizzata, in negativo, da un’alea di patavinitas: intendendo con tal espressione la truffaldina impronta romantico-moraleggiante che permea la visione del passato della stragrande maggioranza degli storici occidentali. Non ci si stupisca quindi se oggi, nella città del Santo, le cose non siano cambiate rispetto ai tempi dello “storico” Tito Livio.
IL PARADIGMA PROSOPOGRAFICO
Prima d’introdurre l’innovazione metodologica che contraddistingue l’opera di Syme, il paradigma prosopografico, lasciamo che sia lui stesso e descrivere il carattere della narrazione storica che con il suo lavoro ha confutato: “un abbaglio tipicamente moderno e accademico… Più volte questa storia è stata raccontata come ineluttabile, in un parossismo di malinconia ed esultanza… Fato e verdetto cospirano nel far pendere la bilancia a sfavore dei vinti… Alcuni storici, per non aver tenuto conto delle convenzioni della terminologia e della realtà della vita politica romana, sono stati indotti a figurarsi un principato di Cesare Augusto sinceramente repubblicano nello spirito e nella pratica… Tacito e Edward Gibbon avevano visto meglio. La narrazione dell’ascesa d’Augusto al potere supremo, corredata da una rapida analisi dell’attività di governo del nuovo ordine, convaliderà il loro verdetto e varrà a rivelare una certa unità nel carattere e nella politica del triumviro, dal dux e del princeps. Se il princeps abbia fatto ammenda dei crimini e delle violenze della sua precedente carriera, è questione vana e irrilevante, che lasciamo di buon grado al moralista o al casista.” Qual è quindi il criterio d’indagine storico che ha permesso all’autore di giungere a tale conclusione, come potremmo definirlo in termini spiccioli e contemporanei? Beh, è un approccio che i Gen Z (i nativi digitali) più consapevoli bollerebbero forse come “dietrologico”. E non in maniera erronea. Con un po’ di colore, si potrebbe dire che il metodo d’indagine di Syme si riveli efficace tanto un quanto un siluro nella pancia della “fregata storica” che è la visione tradizionale di quel periodo romano che va dal 60 a.c. e il 14 d.c.: la trasformazione politica e sociale che si verificò a Roma con l’ascesa di Giulio Cesare, l’uomo più amato dagli usurai del tempo (secondo Celio); gli unici che erano felici del suo operato. L’autore titola il libro “La rivoluzione romana” proprio per evidenziare il parallelo tra gli eventi che narra e quelli che si vivevano al tempo della prima pubblicazione del testo (1936). Con tale titolo, Syme intendeva alludere al fatto che la presa di potere fascista di Benito Mussolini non fosse poi così dissimile dall’ascesa al potere di Augusto. Un momento storico che, onestamente, non appare nemmeno così distante dagli eventi che viviamo oggi giorno, sempre più nell’occhio di quel ciclone che i sacerdoti del tempio di Delfi contemporaneo chiamano “Great Reset”.
Tacito
Il violento trapasso di poteri e proprietà che avveniva al tempo, si verificò in maniera pressoché speculare durante il fascismo con l’industrializzazione e sta avvenendo con probabilmente anche maggiore veemenza in questi giorni, “grazie” alla digitalizzazione. Corsi e ricorsi, tutto cambia, perché nulla cambi. E quindi, che cos’è questo paradigma prosopografico? Syme aveva compreso molto bene che concentrarsi sulle grandi figure o eventi o battaglie della storia fosse un errore: bisognava invece indagare i centri di potere, le cricche, che si celavano alle spalle dei grandi politici, personaggi di una sceneggiata che aveva come scopo esclusivo quello di ergersi a paratia del celato militarismo che contraddistingueva la natura del potere. Il focus dell’indagine symiana non è infatti il princeps, quanto la struttura oligarchica che si nasconde dietro il princeps stesso, è quello il vero anello di congiunzione tra repubblica ed impero. La figura e il ruolo di Giulio Cesare sono serviti, alle nobili casate romane e i a vari consiglieri dei leader politici, esclusivamente per tentare di stabilizzare il più possibile la società in un momento di tale cambiamento. Il paradigma prosopografico che contraddistingue lo stile di Sir Ronald Syme, è sostanzialmente questo. Sic et simpliciter. Un approccio che non guarda il dito, bensì la luna. Com’è bene si continui a fare tutt’oggi. E come, in tutta onestà, in Italia si faceva anche prima del testo di Syme, come conferma l’opera degli elitisti Gaetano Mosca e Robert Michels. E come fece poi il grande Antonio Gramsci.
“Una minoranza organizzata prevarrà sempre su una maggioranza disorganizzata.” Gaetano Mosca
IL QUADRO STORICO RITRATTO DA SYME
Che la lettura tradizionale degli eventi storici sia affetta da una palese e intenzionale blesità, non è purtroppo cosa nota a tutti. Syme dimostra che la figura di Cesare comunicataci dalla storia tradizionale sia solo apparentemente quella di un capo rivoluzionario. Nella realtà, Giulio Cesare fu un autocrate usurpatore che tentò di sottrarre beni e poteri a chiunque per ingrassare la propria fazione e così trasformare un partito e un paese tormentato in una vera a propria nazione con un governo stabile e duraturo. Syme non cade nella trappola propagandistica, non si presta alle analisi dei conflitti bellici e delle dialettiche politiche; se ne strafotte dei grandi del passato. Perciò, spoglia la storia del mito e della leggenda per proporne un estratto delle dinamiche individuali umane, tramite figure (l’onesto e radicale Celio, ad esempio) o eventi apparentemente marginali per la narrazione della “Grande Storia Accademica”, che tende invece a mantenerli in un cono d’ombra. E’ difficile discutere lo spirito e la capacità d’analisi critica dell’autore. Il ritratto che emerge dalla sua disamina dimostra che la negazione della libertà individuale che contraddistingue i sistemi autocratici correttamente definiti “regimi” sia l’unica forma di governo mai esistita. Con buona pace delle fatue illusioni liberal-democratiche tuttora cosi vive nell’immaginario collettivo dei meno preparati e più ingenui. Alla fine della fiera, sarebbe il caso di dire della storia, gli eventi della Roma antica dimostrano che la società e la politica contemporanee non siano minimamente cambiate da allora. Il clientelismo era, ed è, il loro principale virtuosismo. Come dice l’autore, la costituzione romana era uno schermo ingannevole, perché le famiglie che tiravano le fila dietro ad essa, e dietro ai suoi principali interpreti pubblici, erano molto ma molto più antiche della costituzione stessa. Realtà che proliferavano grazie ad alleanze con gruppi finanziari del tempo, tramite il patrocinio esercitato dai tribunali, cavalcando in sella della più becera corruzione e chiaramente, sempre e solo nel nome dei legami di devozione personale. Il pregio dell’opera di Syme è proprio quello di gettare luce su tantissimi aspetti comunemente ignorati, cosi dimostrando tutto il senso che filologia e critica dovrebbero avere. Perché Ronald Syme soggettiva la sua visione, collega e interpreta i fatti, evidenzia le incongruità, aiuta il lettore a comprendere, quale sia la realtà dei fatti. Nel remake storico di Ronald Syme, Giulio Cesare viene descritto come persona profondamente edotta sullo sviluppo della storia umana a venire, seppur, in parte affetto da una forma di cecità nei confronti dell’unica variabile che non cambia mai. Quella che Catone chiamava “patriottica sottomissione”. Che è proprio ciò che Syme fa vedere anche al cieco tradizionale, quello che non vuole vedere, ossia che, come già detto, tutto nel tempo cambi, solo affinché nulla, mai cambi: “Catilina non seppe che, o non volle capire, che riforme o rivoluzioni non trovavano posto nei piani del mandatario. Crasso si tirò indietro e Catilina proseguì verso la rovina… La generosità di Cesare rivelata dalla corruzione e dal patronato non conosceva limiti. Impulsi, ideologie, forme di attaccamento le più disparate, venivano a fondersi nella sua fazione… La forma costituzionale non aveva importanza: loro erano più antichi della repubblica romana… Ambizione dell’aristocratico era di salvaguardare la dignitas, perseguire la gloria, esercitare la magnitudo armi; suo sacro dovere era quello di proteggere amici e clienti e di garantir loro vantaggi, di qualunque condizione fossero. Fides libertatis et amicitia erano qualità altamente stimate dalla classe di governo, tanto da Cesare quanto da Bruto… Molti banchieri erano amici di Cesare già prima: si può presumere che abbiano ricevuto da lui garanzie in vista della rivoluzione.”
CRITICHE ALL’OPERA E CONCLUSIONE
Docente a Oxford sin da giovane età, Ronald Syme, oltre a essere uno storico di prima qualità (e uomo d’intelligence), aveva una vera e propria devozione per la lingua e la letteratura. Con “La rivoluzione romana” Syme rompe infatti sia con la tradizione “tecnica”, oltre che con quella storica oxfordiana, riportando gli eventi con una scrittura austera, in puro stilo tacitiano, seppur condita da una certa ironia tipica dello stile dell’inglese Edward Gibbon. Arnaldo Momigliano, tra le più autorevoli voci del secolo scorso in tema di storia e storiografia antica, e che evidenzia tali doti dell’autore, ne critica però l’eccessivo uso dello stile prosopografico, e quindi il suo concentrarsi sulle testimonianze letterarie, a discapito di un’indagine archeologica ed epigrafica più approfondita. Per quanto ci riguarda, “La rivoluzione romana” di Ronald Syme è un tributo essenziale alla verità storica, testo la cui lettura, ci verrebbe da dire, sia imprescindibile. Un testo che non ci lascia alternativa al dire: storia tradizionale, pollice verso. Ronald Syme, thumbs up!