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L’opinione: la trappola dello “stato di diritto”

Una nuova morale è arrivata a sostituirsi alla «religione» dei diritti umani, mettendo in pericolo le sovranità degli Stati. Lo «Stato di diritto» è ormai nella bocca di tutti i commentatori e responsabili politici, come un mantra che abitualmente viene invocato. Cosi che questo «Stato di diritto», brandito come un «talismano», è diventato molti diritti e poco Stato, evoluzione di quel concetto che diventa oggi lo strumento dell’emancipazione illimitata dell’individuo e della dottrina post-nazionale dell’Unione Europea. Questo rientra nella logica avviata ormai da qualche anno dall’Unione Europea e i suoi «giudici» della sua Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In realtà, dall’inizio della «costruzione europea», la Corte di Giustizia, torre di controllo del diritto varato a Bruxelles, non ha mai parlato di «Stato di diritto» per caratterizzare l’Europa. Essa ha sempre fatto di certi «valori» il primato del «diritto europeo», ma non in nome dello Stato di diritto ma solamente per imporre il suo diritto agli Stati membri. Solo dal 2015, parallelamente ai cambi di governo in Paesi nuovi membri – governi più nazionalisti – la Corte di Giustizia Europea si è «appoggiata» allo Stato di diritto – divenendo il suo mantra – per «bloccare» e difendere, una buona volta per tutte, il primato europeo sugli Stati nazionali. Per riassumere: sono passati da una «necessità funzionale» – stabilire il diritto dell’Unione Europea sugli Stati nazionali membri affinché tutti lo applichino nello stesso modo – ad un «ragionamento morale», finalizzato ad imporre la superiorità del «sistema europeo» attraverso il canale dei «valori» dello Stato di diritto. Nel 2020 però alcuni Stati membri, in primis la Polonia e l’Ungheria, si sono legittimante opposti ad applicare le decisioni della Corte di Giustizia Europea, rifiutandosi di «conformarsi» alle «ingiunzioni» loro indirizzate dalla Commissione Europea. Quindi non rimaneva altro da fare alla Corte di Giustizia Europea che colpire forte e aggredire i «portafogli» degli Stati ricalcitranti, anche per dare un esempio e calmare gli ardori di altri Paesi.

Questa «rivoluzione» è spesso rimasta sotto traccia. A cominciare dagli anni ‘60 del secolo scorso l’Europa si è progressivamente concepita come una «comunità di diritto», una organizzazione sovra-statale fondata sull’applicazione uniforme di regole ch’essa edita. Per riassumere, contro la vecchia politica della decisione e di azioni di forza, tipico degli Stati-nazione sempre pronti a fare la guerra tra loro, l’Unione Europea si é proiettata come «impero pacifico» della norma, sotto però l’autorità dei suoi giudici. E’ attraverso il «diritto» ch’essa, a poco a poco, ha mangiato la libertà di azione dei paesi sovrani. Ma é a cominciare dal 2010 che le cose sono cambiate. La Corte di Giustizia Europea si é messa a scavare nei «valori» elencati all’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea – tra i quali «lo Stato di diritto» -, affermando ch’essi sono la «pressa fondamentale» del sistema politico-giuridico europeo. Senza un solo presupposto ineludibile. E concretamente questo significa che un Paese che non rispetti lo Stato di diritto dell’Unione Europea non ha niente a che vedere con l’Unione Europea stessa. Ma il problema esiste: nessuno sa dove cominci e dove finisca lo Stato di diritto, essendo diventato un concetto che «prende tutto» a seconda di chi governa l’Unione Europea. Lo Stato di diritto significa sia delle regole di procedura, di imparzialità e di «buona giustizia», che dei valori così eterogeni che il pluralismo dei media, l’uguaglianza, la tolleranza, la protezione delle minoranze e, naturalmente, la non-discriminazione. Un «contenitore» morale mai definito che é la prova provata della natura mutevole dello Stato di diritto e arma prediletta al servizio di coloro che governano l’Unione Europea. Un’arma che permette loro sia di imporre la potenza delle sue regole e contemporaneamente di allargare il suo impero nel nome del «bene» o meglio dei «valori progressisti» ch’essi portano in bandoliera. Mostrando freddamente il primato del suo diritto, come ha sempre fatto prima, era divenuto astratto. Mentre farlo in nome dello Stato di diritto gli permette di portare disprezzo su quei paesi che non accettano il suo diktat. Come se ci siano, da una parte, i paesi rispettosi dello Stato di diritto – dunque dei valori progressisti che chi governa l’Unione Europea vuole portare avanti – e, dall’altra, «condannare pubblicamente» quei paesi che a quei valori non si richiamano nè si adeguano. Due campi dei quali per la Corte di Giustizia Europea solamente uno é legittimo. Concetto vago ma con conseguenze chiare in cui le Carte costituzionali, norme supreme dei popoli sovrani di ogni Stato membro, non hanno più alcun valore.

In effetti lo Stato di diritto é sfuggito dalle grinfie dei giuristi per diventare una «arma politica». Agli inizi del XX° secolo non aveva l’interpretazione che gli viene data oggi. All’origine lo Stato di diritto indicava semplicemente il fatto che uno Stato esiste per mezzo del diritto. Poiché uno Stato é composta da «organi»: il suo governo, il suo parlamento, i suoi tribunali; uno Stato che agisce editando delle regole ad ogni suo livello di «potere» a cominciare dalla Costituzione per arrivare alle ordinanze dei Sindaci, passando per le leggi votate dai deputati e senatori in Parlamento. Lo Stato si esprime attraverso regole, adottate seguendo delle procedure e controllate dai giudici. Questa é la definizione classica dello Stato di diritto insegnata ancor oggi nelle università: una piramide di norme con in cima la Costituzione. Una gerarchia di norme. Ma questa forma, a poco a poco, ha cambiato natura e dallo Stato di diritto formale si è passati allo Stato di diritto ideale e materiale. In pochi decenni lo Stato di diritto é diventato una manciata di regole da adattarsi alla nuova religione della non-discriminazione. Ma poiché é il mantra della libertà, la minima critica all’attuale Stato di diritto ti fa diventare il «pericolo numero uno». Ed è per questo che sono rari coloro che osano contestarlo apertamente. Ecco a cosa serve lo Stato di diritto oggi: a chiudere il becco agli oppositori.

Lo Stato di diritto é anche il ferro di lancia dei movimenti progressisti. Si dice liberale ma è il sintomo, invece, di liberalismo che finisce per ritorcersi contro sé stesso. Oggi, poiché non ha una regola iniziale ma neanche una regola ultima, lo Stato di diritto é suscettibile di accogliere nel suo seno l’opposto dei suoi valori fondanti fino a contestare, giuridicamente, le sovranità nazionali dei Paesi membri l’Unione Europea. Giuridicamente «sovranità» significa avere la facoltà di darsi delle proprie regole, di essere «maestri in casa propria». Ora lo Stato di diritto imposto dall’Unione Europea attraverso la sua Corte di Giustizia Europea riduce ogni giorno sempre più la nostra capacità di azione. Ma ciò che é ancora più problematico é che questa «perdita di sovranità» é il risultato di un lavoro nell’ombra di giudici, europei e nazionali, incaricati di imporre questo Stato di diritto politicizzato. In Italia il presidente della Repubblica, in primis, e il Parlamento dovrebbero essere i «guardiani-custodi della Costituzione» ma, a poco a poco, dei giudici non eletti hanno preso il potere e, spesso molto spesso, con decisioni giudiziarie impongono travolgimenti politici, sociali e culturali cosi’ che il «diritto» con le sentenze si sostituisce, soppiantandola, alla politica legiferativa.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.