«Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni» (I Pietro 3,15)
Le donne tornate di fretta per riferire agli uomini che la tomba era vuota non furono credute. Ogni speranza che il loro maestro avrebbe inaugurato il regno fu infranta dalla sua tragica fine. Non restava ai discepoli che elaborare la perdita e tornare alle occupazioni di prima. Ma per le donne ora era diverso: bisognava raccontare, bisognava spiegare, fin tanto che i loro compagni non avessero visto con i loro occhi il Signore risorto.
La speranza ci mantiene in vita, è l’ultima a morire. Sempre e ovunque noi siamo. Essa alimenta il nostro amore, riaccende la nostra fede, colma i vuoti dell’esistenza. Abbiamo smarrito il cammino della nostra fede forse immersi nei mille rivoli degli impegni quotidiani, senza i quali ci sentiremmo morire? Abbiamo smesso di raccontare gli uni alle altre quella speranza che ci illumina di gioia nella profondità della notte? “Rendere conto” dice l’apostolo Pietro, non tanto della fede che abbiamo o che professiamo, ma “della speranza che è in noi”.
Ho pensato che “la Fede” con la F maiuscola è un aspetto identitario Importante che ci connette alla Chiesa (e può anche dividere), mentre la fede con la f minuscola è una misurazione soggettiva della propria esistenza – poca, molta, sola fede … Ma non si può possedere la speranza, solo esserne posseduti; essa è l’àncora dell’anima gettata nel futuro: ci tiene in tensione, in vita.
Mi chiedo: perché sono poche le persone che ci chiedono conto della “speranza” che è in noi? Sono pochi i curiosi di «sapere», chi siamo, cosa crediamo, ma le nostre risposte – spesso eloquenti – possono essere scudi che nascondono agli altri ma anche a noi stessi che cosa ci muove o non ci muove internamente: la nostra speranza?
A volte, spesso per rassicurarci, ci connettiamo idealmente al passato, ripercorrendo i sentieri dei nostri ricordi e per nulla omogenei; altre volte cerchiamo risposte in ricerche e pubblicazioni e in quei momenti ci colleghiamo al presente attraverso ciò che facciamo, il nostro fare. Eppure, in questo nostro coinvolgimento quotidiano qualsiasi cosa noi facciamo nel percorrere le sfide e anche quando calchiamo o fasciamo le ferite della nostra storia presente, noi restiamo umani e credenti.
Umani e credenti, si! Animati dalla speranza, catturati dalla speranza e anche custodi della speranza: non siamo solamente la somma totale delle nostre opere, del nostro interloquire e delle nostre domande. Siamo molto di più. La speranza ci porta oltre. E, prima o poi, noi tutti dovremo pur rendere conto – non tanto delle nostre opere (buone e cattive), della nostra grande o piccola Fede, della nostra conoscenza, della nostra storia ed etica – ma dovremo rendere conto della speranza che è in noi. Questa speranza è «Cristo, in noi, la speranza della gloria» (Col 1,27). Ma, «se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri tra tutti gli esseri umani» (I Cor 15,19) .
Buona Pasqua!
Marco Affatigato