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Mistica mediatica

Da anni imperversa il ritornello “non guardate la televisione, vi lava il cervello”, o slogan similari.

Chi ve lo dice spesso, pur non disponendo dell’apparecchio televisivo, finisce che ne sa più di voi di reality, fiction, festival, bagattelle tra starlette e interviste all’ultimo fenomeno che ha fatto “coming out”, fateci caso.

È miracolo mediatico, una comunicazione sotterranea che penetra carsicamente la società e a cui nessuno sfugge, checché voglia farvi credere.

Infatti, noi ci ribelliamo a tale finta sovversione e deteniamo regolarmente il nostro piccolo grande schermo: ché, anche non lo avessimo, ugualmente verremmo bersagliati attraverso computer e smartphone, a meno di non fare a meno anche di questi.

E nondimeno, i rari che non si sono forniti nemmeno di questi ultimi, conoscono tutto ugualmente perché loro “leggono”; il che, tradotto, significa che si abbeverano ai media mainstream o ai cosiddetti antagonisti, quelli che, alla prova dei fatti, si sono rivelati i più allineati di tutti, quando non orientatori ufficiali.

Sta emergendo però in noi un’attitudine strana, ovvero la tendenza a possedere tutti i pensabili dispositivi, tenendoli tuttavia quasi sempre spenti o inattivi. Ci aggiriamo per casa sovente in uno spesso silenzio, o per il mondo con il naso per aria, come non capitava da parecchio.

Qualcuno potrà osservare che probabilmente il rifiuto dipende dalle castronerie ascoltate negli ultimi anni, dal lezzo di manipolazione e arroganza che emana da quasi tutti i comunicatori ufficiali, dalla saturazione di faccine e faccione più o meno di tendenza che si accomodano nei salotti delle madamine catodiche a raccontarci un monte di fesserie sulla loro supposta vita splendida splendente.

Forse, anche, ma c’è di più.

Tralasciamo il forsennato rimpiattino per beccare qualche bel film senza consigli per gli acquisti o una fiction che non sia antipatriarcale o un programma che non ci rifili l’ultimo caso di cronaca nera irrisolto, con tanto di particolari delle prodezze sessuali dell’ultima vittima, spesso femminile, alla faccia del rispetto per la privacy e i diritti delle donne. No, non è (solo) questo.

Siamo agghiacciati dalla pubblicità progressiva, quella che ci fa rimpiangere, e non per passatismo, i vecchi caroselli con lo spic and span e l’amaro dei cacciatori della generazione dei nonni.

Ci sfilano dinanzi belle personcine botticelliane, esili e rarefatte, che si aggirano per verdi e asettici scenari cartonati di interior design o verdi vallate, che si nutrono d’aria, guidano scatole ibride o montano velocipedi che a stento toccano terra; che rispettano tanto l’ambiente da trasmettere l’impressione di non aver bisogno di mangiare e bere e figurarsi le funzioni fisiologiche; nuovi asceti millennial che consumano no-green solo per i quadrupedi e i pelosetti: ma, quando, raramente, hanno tra le braccia un neonato, devono assicurare che il biberon sia compostabile e sempre nel rispetto religioso di farmaci e parafarmaci, a far intendere che la loro produzione avvenga in un empireo scevro da fumi e scarti industriali.

Perché è lì che ci stanno portando, ad annullarci, ad essere antispecisti per la sola unica specie umana, ad odiarci l’un l’altro, ma è colpa nostra. Noi che guardavamo Alberto Sordi e la consorte buzzicona ingozzarsi e giuravamo a noi stessi che mai saremmo stati come loro, che noi avremmo vissuto clean, ma così tanto che a breve non avremo nemmeno più acqua per lavarci: ce la daranno solo quando avremo dimostrato di essere cittadini perfetti, fuori sede per quindi minuti d’aria e poi tutti a casa a divorare l’ultima telebiografia epurata dalle nequizie umane, con quei fantocci che chiamano attori, sostituibili loro pure con un figurante virtuale se solo si dimenticano di dire ogni giorno che il potere è sempre buono e giusto.

Sarà un mondo mistico, ma senza di noi.

Carmen Gueye