Home » La fine del liberismo ci deve portare alla riflessione circa la necessità di un governo mondiale.
L'opinione

La fine del liberismo ci deve portare alla riflessione circa la necessità di un governo mondiale.

Photocredit Wikipedia

Il bene comune universale non può più essere assicurato da una responsabilità politica frammentata.

Pensiamo a metterci in cammino verso un’autorità politica mondiale.

Crisi economica, crisi finanziaria, pandemie, guerre in Europa, in Africa in Asia , rivolte in Sudamerica, criminalità dilagante ovunque qualora si fosse avvertito il bisogno di un’ulteriore prova della insostenibilità del «modello liberista», quale modello di ordine economico e sociale, oggi basta accendere la tv, ascoltare e vedere le immagini che trasmettono i tg e il mondo intero ci offre la dimostrazione decisiva.

Poniamoci la domanda: quali sono le colonne portanti dell’edificio liberista, oggi in procinto di collassare? Io cercherò di rispondere.

Era la fine del 1972 quando nella sede lucchese del Movimento Politico Ordine Nuovo veniva affrontato l’assunto antropologico dell’agire economico: il primo pilastro dell’edificio liberista. Mauro Tomei, all’epoca il responsabile lucchese del movimento, ci spiegava l’allora a me sconosciuto assunto dell’homo oeconomicus, di un soggetto cioè totalmente autointeressato e strumentalmente razionale. Il secondo pilastro, invece, mi venne enunciato la prima volta dal prof. Luigi Petriccione: la credenza nell’esistenza di una mano invisibile che, grazie all’operare del meccanismo del libero mercato, fa il «miracolo» di trasformare tanti egoismi individuali in benessere collettivo. Ma per ottenere un tale risultato bisogna lasciar fare tutto al mercato, con lo Stato che si autolimita a svolgere il ruolo di «guardiano delle regole del gioco» e nient’altro. Questo spiega la scandalosa crescita delle diseguaglianze sociali negli ultimi cinquant’anni.

Era sempre presso la sede nazionale del Movimento Politico Ordine Nuovo, nel settembre del 1973, che nel corso di «scuola politica» appresi qual è la terza colonna portante del liberismo: l’accettazione acritica del principio del Noma (Non overlapping magisteria), ovvero il principio dei «magisteri che non si sovrappongono». Questo principio sancisce che le tre sfere che occupano lo spazio sociale – etica, politica ed economia – devono restare tra loro separate: l’etica è la sfera dei valori, la politica è la sfera dei fini, l’economia è la sfera dei mezzi. In quanto tale essa è la disciplina che deve occuparsi di trovare i mezzi più efficienti per conseguire i fini dettati dalla politica, una volta che questi siano stati validati dall’etica. Ecco come si è così affermato il convincimento in base al quale quello economico sarebbe un discorso oggettivo, assiologicamente neutrale, che si regge sulle ferree leggi del mercato.

Infine devo a Marco Pannella se ho potuto approfondire il «modello liberista». E’ tramite lui che ho potuto comprendere e «vedere» la quarta colonna dell’edificio liberista: l’accoglimento del modello dicotomico «Stato-mercato» in cui tutto deve rientrare o nel privato o nel pubblico, questo perché la «proprietà» è o privata o pubblica. Non c’è posto, nell’orizzonte liberista, né per i beni comuni né per la proprietà comune. Ed è questa la radice profonda del tragico degrado dell’umanità e dell’ambiente che la circonda o in cui vive essendo questi «beni comuni» ed in quanto beni comuni la loro governance non può essere né privatistica né pubblicistica.

Allora, ritornando alla «scuola ordinovista», quel che invece va realizzato è il modello tridico: Stato- mercato- comunità, riconoscendo cioè piena «cittadinanza sociale» agli individui ma non alla forma di individualismo. Ha un nome: Stato Organico, sul quale mi diletterò successivamente.

Dichiarare improponibile la versione della «economia liberista di mercato», oggi in crisi irreversibile, non implica affatto che si debba abbracciare la versione dell’economia neo-statalista di mercato. Piuttosto, quel che occorre fare è accelerare i tempi per realizzare, nella pratica, la versione della «economia civile di mercato».

La dottrina dello Stato organico è anzitutto importante per la chiarificazione che porta nei riguardi del «totalitarismo», formula, che diversi ambienti di destra come di sinistra tuttora considerano con simpatia, senza le discriminazioni necessarie a che essa non faccia il giuoco degli avversari. Specie alla luce delle più recenti esperienze economiche e politico-sociali, la dottrina dello Stato organico, pur essendo assolutamente di Destra e di orientamento tradizionale, è avversa al totalitarismo. Questa opposizione viene giustificata con considerazioni sia morfologiche che storiche.

All’origine di tutta la «crisi del mondo occidentale» moderno sta l’individualismo. le istituzioni del mondo tradizionale erano caratterizzate dai legami organici che del singolo facevano il membro di corpi, unità, comunità particolari anche professionali ricomprese in una più vasta unità nella quale tuttavia conservavano un largo margine di autonomia e di vita propria, secondo una differenziazione in forma di una naturale gerarchia che tutelava i valori della personalità e della qualità.

L’individualismo, attraverso il mito di una falsa libertà proposta dallo «edificio liberista», ha distrutto quei legami, e dell’uomo ha fatto una unità materializzata priva di radici.

Così dovevano sorgere nuovi sistemi politico-sociali nei quali fra il vertice dello Stato e il singolo non esistono più dei corpi intermedi se non l’economia. Si vede chiaramente, e da qui prende anche inizio il mondo informe delle masse, che attraverso sviluppi fatali l’individualismo si capovolge nel suo opposto, nel collettivismo.

Individualismo e collettivismo stanno perciò sullo stesso piano, si manifestano entrambi come forme di dissoluzione delle unità organiche, l’uno, in un certo modo, continuando l’altro. È come se l’individualismo avesse ridotto ciò che prima aveva una forma in una labile sabbia composta da atomi staccati, la quale è solo suscettibile di un tipo collettivistico, livellatore e coercitivo di aggregazione.

In genere, ciò riguarda quei sistemi che non vedono altro modo per frenare le forze centrifughe e per contenere la molteplicità degli «individui uguali, liberi e coscienti» fuor dalla supercentralizzazione, dai controlli, dall’ingerenza diretta, continua e meccanica dello Stato in ogni dominio della vita pubblica, e, in parte, perfino di quella privata.

Potremmo osservare che, a tale riguardo, si tratta di una necessità, anche perché il carattere complesso e caotico della civiltà moderna, la molteplicità, la congestione, il disordine e il centrifugalismo delle sue forze lasciano ben scarse possibilità ad un ordinamento complessivo che poggi su basi più naturali.

Ma si deve anche riconoscere che, questo, più che un vero ordine, è un disordine provvisoriamente contenuto con mezzi esterni, perché la crisi e l’interna dissoluzione continuano a valere come presupposti, anzi tavola risultano perfino accentuate attraverso tutto ciò che il centralismo ha livellato di antiqualitativo.

Un vero superamento dell’edificio liberista, del collettivismo e del totalitarismo non può avvenire attraverso un nuovo individualismo e liberalismo in un mondo democratizzato. Esso può solo effettuarsi attraverso qualcosa di nuovo, che rappresenti una effettiva antitesi rispetto all’edificio liberista, quindi una terza via.

Questo terzo termine sarebbe appunto l’ideale dello Stato organico, di uno Stato e di una società organicamente strutturati.

Ma ciò implica anzitutto la nascita di un GOVERNO MONDIALE con una COSTITUZIONE MONDIALE con un principio di decentralizzazione.

Si tratta di concepire un «organismo fatto di organismi», ossia una unità che sia quella sopraelevata ordinatrice e regolatrice di tante unità parziali – sociali, culturali, economiche – aventi, come nel mondo tradizionale (e tipicamente nel medioevo), un largo margine di vita propria, tali da riprendere l’individuo secondo nuovi legami qualitativi ed essenziale, facendolo cessare di essere una semplice unità numerica nel mondo delle masse, della quantità e della democrazia o una rotella sostituibile nel meccanismo centralistico totalitario, reinserendolo in un sistema gerarchico retto dalla legge della «disuguaglianza organico-funzionale».

Il principio di autorità deve essere naturalmente affermato. L’idea dello Stato non va negata, ma anzi rafforzata attraverso un nuovo ethos politico in cui lo Stato deve essere l’omnia potens e non l’omnia facens, deve essere una superiore autorità e un supremo potere, non un ente che interviene e preme dappertutto, burocratizzando e sostituendosi a ciò che può e deve realizzarsi in un sistema differenziato e decentralizzato. Pur riservandosi una suprema funzione decretistica e regolatrice, esso deve dislocare e propiziare competenze e responsabilità in corpi e unirà parziali aventi un proprio volto e una propria autonomia di iniziativa e di esecuzione.

Con ciò ci si avvierebbe di nuovo verso un ordine naturale e personalizzato, superando tutte quelle formazioni collettivizzate e estrinseche del mondo moderno (quelle classistiche e partitiche comprese) generatesi con l’edificio liberista e che per premessa hanno pur sempre la crisi in esso prodotta dall’individualismo.

Se un simile ordine di idee appare accettabile, non bisogna purtroppo farsi illusioni circa le possibilità di una sua effettiva realizzazione. Questo perché il «bene comune universale» non può essere assicurato da una responsabilità politica frammentata. Ma il cammino verso un’autorità politica mondiale, basata sui principi di egualitarità, sussidiarietà e solidarietà, è un itinerario lungo e arduo. Le gravi difficoltà planetarie, che non si riducono a quelle attuali della guerra in Ucraina, in Siria, in Yemen e che sono impietosamente messe allo scoperto dal «processo informativo» della globalizzazione dominato dall’economia e dalla finanza che, attraverso la tecnologia, fanno affiorare il tema assoluto dell’insufficienza umana. Riemerge quindi quella volontà assopita della PACE perpetua, ma in contrasto con le diverse istituzioni politiche che guerreggiano.

Tra innumerevoli ostacoli avanza la consapevolezza, almeno in me ma non credo di essere il solo, circa la necessità di un GOVERNO POLITICO MONDIALE, di BENI COMUNI MONDIALI che devono essere assicurati allo stesso livello e quindi di una COSTITUZIONE MONDIALE con l’obiettivo di una PACE PERMANENTE. Mi si può obiettare che esista già l’ONU (l’Organizzazione delle Nazioni Unite) ed io sarei anche d’accordo se questa «Organizzazione» non avesse limitazioni di poteri, tra l’altro volutamente e da ricollegarsi alla «guerra fredda». L’ONU non si è mai posto il problema dell’unificazione politica del Mondo, del superamento della «sovranità degli Stati» che vi aderiscono. Ecco perché la necessità di formare un’autorità politica mondiale, garante della pace e della giustizia tra i popoli attraverso «poteri pubblici» e «istituzioni» a raggio planetario.

Poteri pubblici, cioè che siano in grado di operare in modo efficiente su piano mondiale; poteri pubblici che abbiano ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni. E’ lo stesso «ordine morale» che domanda che tali Poteri vengano istituiti. E’ infatti impensabile che la soluzione ai problemi globali possa essere trovata senza un grande progetto che conduca ad un’autorità politica globale regolata dal diritto, essere ordinata alla realizzazione del «bene comune», attenendosi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà. Tale autorità dovrà essere riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l’osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti.

Questa «autorità» oggi é necessaria in quanto il Mondo é un bene comune universale che non può essere assicurato da una responsabilità politica frammentata in 206 Stati (di cui 195 riconosciuti «sovrani» e altri 11 sono Stati semi o non riconosciuti come quelli membri di federazioni) ulteriormente frammentati in «poteri» regionali. Questo «dislivello strutturale» è forse la più grave causa del disordine mondiale.

Il cammino verso un’autorità politica mondiale da intendersi come Stato, e non come federazione di Stati oppure «impero», è certamente un itinerario lungo e arduo ma non è una utopia poiché dovrà imporsi se come oggi l’umanità globalizzata intenderà sopravvivere. Non ci si inganni però con gli organismi mondiali in campi fondamentali quali l’economia, la salute, il commercio, il cibo (FMI, Banca Mondiale, WTO, OMS, FAO, Tribunale Internazionale, per citarne alcuni) perché tali organismi sono indirizzati dalle «potenze dominanti». Il loro arrancante e precario funzionamento, soprattutto in occasione di crisi più gravi, è uno dei motivi della paura e della chiusura che colpiscono popoli e nazioni. Un governo politico mondiale avrebbe il compito di controllare l’implementazione dei patti internazionali e del relativo diritto in ambiti vitali come l’ambiente, la corsa agli armamenti, l’istruzione, i diritti sociali, la lotta alle diseguaglianze, il contrasto alla tratta di esseri umani e alla criminalità internazionale, perseguendo fini universali nei modi prestabiliti dalla legge e dal diritto internazionali, contribuendo a limitare fino al loro annullamento dei «poteri assoluti».

Probabilmente, fisicamente e per età, io non ci sarò, ma sono convinto che questo «governo politico mondiale» avrà luogo. Non è pensabile diversamente.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.