“Con voi sono cristiano, per voi vescovo”. Non c’è incipit più potente, più carico di significato e storia, per un nuovo Papa. E Robert Francis Prevost, divenuto Papa Leone XIV, lo ha scelto con consapevolezza, assumendo fin dal primo saluto ufficiale quel ruolo che non è solo funzione, ma simbolo: il Vicario di Cristo sulla Terra, pastore tra i pastori, guida tra i fedeli.
Questa frase, che fa riecheggiare le parole di Sant’Agostino in una Piazza San Pietro piena di fedeli sorpresi dalla sua elezione, non è una semplice citazione dotta: è un programma. È l’annuncio — sobrio ma solenne — che la Chiesa ha un nuovo volto, un nuovo centro di gravità, e che questo volto ha lo sguardo di un uomo con radici plurime, profondamente segnato dalla spiritualità agostiniana, figlio del Perù e della missione, ma ora vescovo universale.
Il discorso di Leone XIV, pronunciato dalla Loggia delle Benedizioni a San Pietro, è stato letto da lui, sì, ma non recitato: trasmesso con compostezza, emozione ma anche determinazione, ha tenuto il tono alto di una conversazione che voleva parlare al cuore della folla presente in piazza San Pietro, ma anche — e forse soprattutto — a milioni di occhi e orecchie collegate nel mondo. Non una folla indistinta, ma un popolo smarrito, spesso deluso, in cerca di una voce capace di risollevare lo sguardo.
Leone XIV ha scelto di presentarsi come Pontefice della Sacra Romana Chiesa nel senso più pieno del termine: costruttore di ponti, sì, ma anche figura capace di tenere insieme solennità e vicinanza, autorità e fraternità. La sua scelta di citare Agostino, il suo richiamo al Vangelo della pace e il tono della sua prima benedizione, ma anche l’attenzione all’abito da lui indossato con i relativi paramenti, fanno pensare a un Papa che conosce il valore dell’immagine e della parola, senza abusarne. La sua esperienza pastorale, maturata tra Nord e Sud America, lo pone come figura già abituata alla complessità del mondo cattolico contemporaneo: aperto alla comunicazione, alle tecnologie, ma anche attento all’immagine della Chiesa e al suo ruolo nei nuovi equilibri globali.
Come sottolineato in un mio editoriale pochi giorni prima del conclave, “la società contemporanea non chiede più rivoluzioni, ma rassicurazioni”: in un tempo instabile, i simboli e la tradizione tornano a essere ancore di senso. La scelta del nuovo Papa sembra aver colto questa esigenza, mostrando una figura capace di coniugare sobrietà dottrinale e impatto comunicativo, fedeltà alla radice cattolica e consapevolezza dell’epoca digitale.
Il rilancio della Chiesa — scrivevo sempre qualche giorno fa — dovrà passare anche da una strategia comunicativa più forte, più credibile, meno impigliata negli scandali del passato e più radicata in una spiritualità autentica. E in questo, le sue radici cosmopolite possono rappresentare una chiave importante: sintesi tra pragmatismo e profondità, tra familiarità con i media e sensibilità pastorale maturata sul campo, nei territori di missione.
La Chiesa ha bisogno di risollevarsi. E forse, come accade nei momenti di svolta, serviva proprio un Papa che venisse da lontano, ma che sentisse suo ogni cuore avvicinato. Il futuro dirà se Leone XIV saprà trasformare questo inizio in un cammino. Non a caso il motto scelto da Papa Leone XIV, In Illo uno unum (“In Colui che è uno, siamo uno”), è tratto dalle esposizioni di Sant’Agostino sul Salmo 127. Questo motto riflette la teologia agostiniana dell’unità dei cristiani in Cristo, enfatizzando l’idea che, pur essendo molti, i cristiani formano un solo corpo nell’unico Cristo.
M.S.