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Oltre Francesco: quale Chiesa per i prossimi vent’anni?

La morte di Papa Francesco, dopo una malattia lunga e debilitante, lascia un vuoto profondo non solo nella Chiesa cattolica ma anche nella coscienza collettiva di milioni di fedeli. Fino all’ultimo, Bergoglio ha voluto incarnare la sua missione con dignità e autenticità, mostrando cosa significhi essere Papa in tempi complessi e contraddittori. Tuttavia, accanto alla doverosa celebrazione del suo pontificato, si impone oggi una riflessione più ampia: quale direzione dovrà prendere la Chiesa nei prossimi 15 o 20 anni?

Il pontificato lungo e carismatico di Giovanni Paolo II, quello breve ma intellettualmente denso di Benedetto XVI, e infine quello di Papa Francesco, hanno segnato in modo indelebile tre fasi diverse del post-Concilio Vaticano II. Eppure, molte delle sfide individuate proprio da quel Concilio restano tuttora aperte, irrisolte. La secolarizzazione crescente, l’abbandono dei riti religiosi, la crisi vocazionale e il senso di smarrimento di molti cattolici — specialmente di coloro che vivono in Europa — sono segnali che non possono più essere ignorati.

Oggi più che mai, la Chiesa si trova davanti a un bivio: restare ancorata a un modello che rischia di diventare sterile, o ripensare profondamente se stessa, nel segno di una riforma che non rinneghi la propria identità ma la rilanci con coraggio. Serve una visione capace di coniugare la fedeltà al messaggio evangelico con un’efficace comunicazione nel tempo dell’immagine, della brand identity, della percezione pubblica. Una società come quella di oggi che non accetta rinnegamenti, ma che ama vedere quel brand tutelato a dovere senza stravolgimenti che non verrebbero capiti dal pubblico.

Il nuovo Papa sarà chiamato non soltanto a governare una transizione ecclesiale, ma anche a ricostruire il rapporto tra la Chiesa e la società contemporanea. E dovrà farlo in un’epoca in cui, a differenza degli anni Sessanta, la società non chiede più rivoluzioni ma rassicurazioni. È una società, la nostra, che guarda del resto alla tradizione, all’identità, ai simboli come ancore di senso in un mondo instabile. In questo, la Chiesa può (e forse deve) ritrovare un linguaggio di autorevolezza e mistero, come accade, seppure su piani diversi, con alcune monarchie europee che hanno saputo rinnovarsi senza rinunciare alla propria aura.

Ma rinnovamento oggigiorno non vuol dire arrendersi al relativismo né abbandonare i princìpi. Al contrario: serve un riformismo conservatore, capace di rafforzare l’immagine e la funzione spirituale della Chiesa nella società. Non basta mostrarsi umili o vicini al popolo, se manca una visione forte, ispirata e riconoscibile. È questa la vera sfida del prossimo pontificato: essere Chiesa del XXI secolo senza rinunciare a essere Chiesa di sempre.

La speranza è che il Collegio Cardinalizio, sotto la guida dello Spirito Santo, non si limiti a eleggere un successore, ma sappia individuare un guida profetica, capace di leggere i segni dei tempi e orientare la rotta della barca di Pietro nel mare inquieto del nostro presente. Con coraggio, intelligenza e fedeltà.

M.S.