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Hiroshi Ouchi: l’uomo speranza dell’incidente nucleare di Tokaimura

Non sono molti gli incidenti nucleari che il mondo conosce in modo approfondito, oltre a Chernobyl e Fukushima: ad esempio, sono poche le persone che possono affermare di essere al corrente dell’incidente avvenuto nel 1999 in Giappone, durante il ritrattamento di uranio arricchito, che causò la morte di due operai e coinvolse 667 persone in totale, compresi i soccorritori.

Tokaimura è una piccola cittadina poco distante da Tokyo, circa 120 km, nel distretto di Ibarak: qui operava la Facility, una piccola fabbrica per il riprocessamento di combustibile nucleare.

Il 30 settembre 1999, tre operai, Yutaka Yokokawa, Masato Shinohara e Hiroshi Ouchi, stavano trattando un lotto “speciale”, ossia un carburante a base di uranio arricchito al 18,8%, che in Giappone viene chiamato Joyo, fuoco eterno. Questo processo non rientrava nel lavoro ordinario di questo piccolo stabilimento. Essi normalmente utilizzavano uranio arricchito al 5%, ossia quello che è stato stabilito come massimo per le fabbriche civili, e che non si sarebbe dovuto superare.

I tre operai erano quindi all’oscuro e impreparati sulle tecniche e le accortezze da utilizzare con un materiale tanto pericoloso e difatti fecero uno sbaglio che costo loro cara la vita. Inconsapevolmente superarono il limite di inserimento massimo di uranio (arricchito al 18,8%) nel serbatoio, arrivando al punto di criticità e causando una reazione a catena.

I tre operai vennero colpiti dalle radiazioni in forma di fasci di neutroni: l’operaio più vicino al serbatoio, Hiroshi Ouchi, ricevette dosi di radiazioni pari a 10-20 Sv, il secondo operaio, Masato Shinohara 6-10 Sv, e l’ultimo, l’unico che sopravvisse, ricevette 1-5 Sv. È da ricordare che la dose massima di radiazioni a cui un corpo umano può essere sottoposto senza pericolo di danneggiamenti è di 50 mSv l’anno.

Ouchi, dopo il colpo subito dalle radiazioni era in condizioni gravissime, perse coscienza immediatamente e venne trasportato all’ospedale dell’università di Tokyo: li riprese conoscenza e riuscì addirittura a dialogare con i medici, nonostante in lui si riscontrassero sintomi molto gravi dovuti alle radiazioni, come vomito, diarrea, febbre e alto conteggio dei globuli bianchi.

Ma la sorte di Ouchi purtroppo era già segnata: con un’esposizione così forte alle radiazioni, i suoi cromosomi erano andati distrutti. I medici e l’equipe predisposta lo sottoposero ad ogni cura possibile, come trapianti periferici di cellule staminali avute grazie alla sorella di Hiroshi, trasfusioni di sangue e innesti cutanei, perché la pelle mano a mano si stava staccando dal corpo e l’uomo era arrivato a perdere fino a 20 litri di liquidi al giorno. Venne monitorato e sorvegliato durante tutta la sua agonia in ospedale: morì 83 giorni dopo, il 21 dicembre 1999, stupendo tutti, all’età di 35 anni.
Il suo collega, Masato Shinohara, avendo ricevuto una dose minore di radiazioni, ebbe più tempo e morì dopo a 211 giorni dall’incidente, 7 mesi dopo: anche Shinohara ricevette tutte le cure possibili, compreso il trapianto di cordone ombelicale, trasfusioni e impianti cutanei.

L’unico che sopravvisse fu Yutaka Yokokawa, grazie alle cure intensive a cui venne sottoposto, ma anche perché risultava essere il più distante dal serbatoio al momento dell’esplosione. Secondo gli enti preposti al controllo di questi incidenti, lo IAEA, la maggior parte di questi disastri avviene principalmente per errori umani e violazioni dei principi di sicurezza: la Felicity non era una fabbrica attrezzata adeguatamente per il trattamento di questi materiali e gli operai non possedevano la preparazione e le conoscenzee necessarie per evitare un evento di criticità. La licenza venne revocata ai proprietari della fabbrica all’inizio del 2000.

I medici dell’ospedale di Tokyo decisero di scrivere un libro sulla storia di Ouchi: «A Slow Death: 83 days of Radiation Sickness» in cui spiegano le fasi delle cure utilizzate per tenere in vita quell’uomo che si credeva senza speranza, ma che una speranza l’ha donata. Occhi e Shinohara sono morti, purtroppo in maniera lenta e dolorosa, a causa della mancanza di precedenti situazioni su cui potersi basare e trattamenti specifici e mirati, i medici non sono riusciti a salvarli, ma sicuramente hanno aperto la strada alle ricerche in questo ambito.

Cecilia Capurso

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