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La corsa alla bomba atomica italiana

Una bomba atomica italiana, sembrerebbe un tema di un film, ma è la realtà. L’Italia nel novembre 1957 firmò, assieme a Francia e Germania, un accordo segreto per dotarsi di un deterrente nucleare comune, il rischio era infatti quello di ritrovarsi circondati da potenze atomiche e ciò avrebbe indebolito il ruolo dell’Europa. Il panorama cambiò radicalmente con la vittoria alle elezioni francesi di De Gaulle che rigettò il progetto e decise di avviare il programma nucleare in autonomia. L’Italia, dopo il dietrofront francese, si ritrovò circondata da paesi che stavano sviluppando armi nucleari, infatti, oltre alla Francia, anche Yugoslavia e Romania stavano procedendo in quella direzione collaborando inoltre alla costruzione di un aereo che ne facesse da vettore. Anche la neutrale Svizzera il 23 dicembre 1958 decise di dotare le proprie forze armate di tecnologie nucleari.
L’Italia, nell’ambito della Nato, nel 1957 aveva iniziato i lavori all’incrociatore Giuseppe Garibaldi in modo che fosse in grado di trasportare quattro missili Polaris eseguendo poi con successo tutti i test con i simulacri ma i missili non arrivarono a causa di decisioni politiche. Inoltre, a partire dal 26 marzo 1959 grazie ad un accordo bilaterale tra Roma e Washington, venne costituita la 36° Aerobrigata Interdizione Strategica dell’Aeronautica Militare italiana dotata di missili Jupiter schierati tra Puglia e Basilicata. A causa delle conseguenze della Crisi dei Missili di Cuba il 5 gennaio 1963 gli Stati Uniti decisero di smantellare i missili Jupiter e di bloccare la vendita dei Polaris alla Marina Militare italiana.
Date le condizioni il generale Moci chiese al Capo di Stato Maggiore della Difesa generale Rossi l’autorizzazione per sviluppare un deterrente nucleare nazionale, l’idea venne accolta ma il progetto doveva essere mantenuto nella totale segretezza. Per fare ciò si chiese aiuto al professor Broglio, all’epoca miglior esperto italiano nel settore missilistico, per sviluppare un missile con un raggio d’azione di 3000 km in grado di coprire tutta l’Europa ed il Nord Africa ad un costo relativamente contenuto, infatti 100 missili sarebbero costati come i 149 nuovissimi caccia bombardieri F 104 Starfighter appena entrati in servizio, circa 212 milioni di dollari.
Dal 1968, però, la priorità di Washington era limitare la proliferazione nucleare arrivando al 1 luglio dello stesso anno alla firma del Trattato di Non Proliferazione Nucleare assieme a Regno Unito e Unione Sovietica. I paesi confinanti all’Italia non lo firmarono subito, la Svizzera l’anno seguente mentre Romania e Yugoslavia solo nel 1970. Secondo i nostri servizi segreti, Belgrado non aveva smesso di sviluppare armi nucleari presso l’istituto di Vinca portando l’Italia a proseguire i suoi studi e nel 1971 la Marina Militare a livello interforze iniziò lo studio di un missile balistico a medio raggio da utilizzare sia su unità di superficie che sottomarine da cui nacque il missile Alfa. I test sull’Alfa si conclusero nel 1976 a seguito della firma italiana l’anno precedente al trattato TNP, le esperienze fatte con questo sistema vennero utilizzate in campo spaziale arrivando al progetto Vega.
I sogni di un’atomica italiana così scomparvero, ma solo in parte. Dobbiamo infatti ricordare che oggi nel nostro paese sono presenti circa una settantina di bombe B 61 americane, ma in condivisione con l’Aeronautica Militare secondo i programmi NATO.
 
Stefano Peverati