Quella che sta per prendere il via con l’elezione dei presidenti delle due camere è la prima legislatura nella storia repubblicana del nostro Paese in cui non compare, tra i membri, il nome di Giulio Andreotti. Il Divo infatti fu presente nei palazzi del Parlamento dalla composizione dell’Assemblea Costituente in poi, fino al 6 maggio 2013, quando lasciò questo mondo all’età di 94 anni.
Curiosamente, la prima legislatura “de-andreottizzata” è la più giovane di sempre, con un’età media alla Camera fissata a meno di 45 anni, con vette come quella di Alberto Stefani, deputato leghista di appena 25 anni. Si tratta anche del Parlamento più “rivoluzionato” di sempre, con ben due terzi di parlamentari che non hanno fatto parte della scorsa legislatura.
Sembrano quindi ben defunti i tempi della Democrazia Cristiana di targa andreottiana, con l’esperienza di governo e la stabilità come punti cruciali da cui far partire il processo di costruzione dei Governi del centro-sinistra italiano. Centro-sinistra arrivato quasi a scomparire, con le ultime elezioni: il Partito Democratico ha incassato il peggior risultato della sua storia e nella storia dei partiti di centrosinistra mentre il partito che poteva vantare nel simbolo lo scudo crociato, ovvero Noi con l’Italia – UdC, non ha raggiunto la soglia di sbarramento, eleggendo solo 4 deputati all’uninominale e corrispondenti ai nomi di Enrico Costa, Maurizio Lupi, Renzo Tondo e Alessandro Colucci. Non è andata meglio all’altro partito di ispirazione centrista, Civica Popolare, che porta in Parlamento solo la leader Beatrice Lorenzin e l’ex forzista Gabriele Toccafondi.
Ringiovanimento e fine del centrismo a parte, l’assenza di Andreotti e di quella classe dirigente della Prima Repubblica si vede nei momenti cruciali che già i leader dei maggiori partiti stanno affrontando. L’incapacità di trovare accordi stabili, in un contesto politico che per la seconda legislatura consecutiva vedrà un accordo di grande coalizione, dopo che per il ventennio berlusconiano ci si era abituati a dei governi monocolore di uno schieramento o dell’altro.
Si vede l’assenza di personaggi abituati a “navigare”, anche a vista, nelle acque torbide dei palazzi romani, dove ogni singolo voto può essere decisivo per affondare l’avversario di turno. Dove la nomina di un Presidente della Camera non è solo un modo di dare l’indirizzo politico di quella Camera, ma anche un modo per sapere su chi contare nei momenti di difficoltà. Dove il tavolo delle trattative può spaziare dall’MSI al PCI, mentre oggi si fa fatica a stringere la mano ad uno di Forza Italia qualora ci si trovi fra gli eletti del Movimento 5 Stelle.
Il 24 giugno 2013 morì anche Emilio Colombo, ultimo dei padri costituenti in vita. A distanza di quasi 5 anni, nessuno è stato ancora capace di sostituire quella classe dirigente non solo negli anni spesi a servizio del Paese, ma anche nel peso delle loro riforme. Leggi elettorali che non portano a risultati concreti, continuo distacco tra uomini e donne politici – per lo meno dei partiti tradizionali – e “gente comune”, stagnazione continua a livello amministrativo fanno sì che continui ad aumentare il rimpianto per aver perso quella tanto vituperata Prima Repubblica.
Dove erano rappresentate le ideologie prima e le élite poi, dove quando si votava un partito dichiaratamente liberale come il PLI si sapeva a cosa si andava incontro e non si rimaneva scontenti prima ancora di formare delle maggioranze di governo o dove non si sa esattamente per chi votare appartenendo a certe correnti politiche, dal momento che almeno 4 o 5 partiti hanno al loro interno ideologie contrastanti.
Come il più tipico degli Highlander, ne è rimasto solo uno di quell’epoca. Pier Ferdinando Casini siede in Parlamento dal 12 luglio 1983, senza interruzioni. Andreotti arrivò a 17 legislature, Casini a 63 anni è già arrivato in doppia cifra con un vantaggio di cinque anni sul Divo Giulio. Un vantaggio solo anagrafico, perché l’abilità, la sagacia e l’autorevolezza politica di Andreotti sono – purtroppo – sparite con lui.