Quomodo fides a principibus sit servanda”
In quale misura i principi debbano mantenere la parola data
Con queste parole si apre il capitolo diciottesimo, una delle parti nevralgiche del Principe, l’opera più nota di Niccolò Machiavelli, letterato e storico fiorentino di formazione umanista a cui viene attribuita la formulazione della politica come campo di azione autonomo rispetto alla filosofia.
Nei giorni delle complesse vicende italiane che hanno fatto seguito al voto del 4 marzo, molti di noi potrebbero aver rispolverato i vecchi studi di letteratura chiedendosi quale principio avrebbe affermato il nostro Machiavelli per indicare l’ipotesi di governo più propizia per la guida dello stato italiano e chi, tra i leader politici del panorama nazionale, incarnasse al meglio le caratteristiche per farlo.
La situazione, in realtà, si delineava così complessa, ondivaga e incerta che nemmeno l’esimio scrittore fiorentino avrebbe saputo districarsi con suggerimenti e argomentazioni.
Ma procediamo con ordine. Lega e Movimento Cinque Stelle si sono presentati al voto di marzo con programmi solo apparentemente divergenti. La dissonanza più evidente si potrebbe individuare nella proposta della flat tax, cara alla Lega che mira ad un alleggerimento della pressione fiscale sui cittadini, e reddito di cittadinanza, sostenuto dai cinque stelle con l’obiettivo di creare forme di supporto e di sostegno ai lavoratori in difficoltà e alle loro famiglie. I due provvedimenti erano, in sostanza, rivolti ad un elettorato dall’identità molto diversa: la Lega si rivolgeva alla piccola e media imprenditoria del Nord, il Movimento alle grandi sacche di difficoltà economica e sociale presenti al Sud.
Sui grandi temi della giustizia, dell’ordine pubblico, dell’immigrazione e dell’Euro le due forze politiche avevano manifestato idee, a tratti in conflitto ma più spesso contigue. E’ sulla base di queste considerazioni che non dovrebbe sorprendere oltremodo l’intesa di governo creatasi, seppure faticosamente, tra i due schieramenti e confluita nel Contratto per il governo. Le alterne vicende di questi ultimi giorni hanno fatto vacillare, per mano del Presidente della Repubblica, l’accordo stipulato tra le parti. Molto si è discusso sul fatto che la presa di posizione di Mattarella fosse lecita o meno; certamente la maggior parte degli Italiani ha espresso a mezzo di opinione pubblica, sulla stampa e sui social, la ferma volontà di proseguire con un governo composto dai partiti vincitori delle elezioni politiche , annoverando tra le motivazioni due argomenti: il primo è configurato nel dovere di vedere rispettato il voto degli italiani; il secondo consiste nella necessità di dare al paese un nuovo esecutivo per consentirgli di uscire dallo stallo politico-economico in cui versa dal momento dello scioglimento delle due Camere.
I contendenti al fine di raggiungere l’obiettivo concretizzatosi nella giornata di ieri con la presentazione della lista dei ministri,affidata a Giuseppe Conte, hanno sicuramente dovuto fareciascuno un passo indietro: Mattarella ha ammorbidito le sue posizioni nei confronti dei giallo-verdi, Salvini ha rivisto la candidatura di Paolo Savona all’Economia spostandolo agli Affari Europei, Di Maio ha ammainato la pretesa di impeachment e l’intento di procedere in una manifestazione di protesta prevista per sabato due giugno a Roma, giorno della festa della Repubblica.
In tutto questo che cosa avrebbe detto il nostro Machiavelli?
Avrebbe, senz’altro, fatto riferimento alla necessità delle parti politiche di adattarsi al contesto: “ credo che sia felice quello che riscontra el modo del procedere suo con le qualità de’tempi”( Il Principe, cap.XXV) ma soltanto dopo aver affermato che “per esperienza ne’ nostri tempi, quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare e’ cervelli degli uomini” ( cap. XVIII). Insomma lo storico e letterato fiorentino afferma l’ingegno e la furbizia come qualità intrinseca del buon condottiero politico ( al quale aggiunge la forza).
Quale modello di guida politica saranno, quindi, in grado si incarnare Salvini e Di Maio, se astuto o leale, se persistente o ingannevole, è presto per dire; sarebbe tuttavia importante per il bene collettivo degli italiani che li hanno votati e sostenuti che i due leader mantenessero fede alla parola data e ai programmi politici preventivati, pur contravvenendo la visione machiavellica del potere che vuole attribuire al principe qualità più vicine alla scaltrezza che alla lealtà.
Adorno Daniele