Il recente caso del gentiluomo tunisino, che, arrivato da richiedente asilo a Lampedusa, trattenuto da possibile untore a Bari ed espulso, in teoria, è arrivato a Nizza a macellare tre persone, ripropone l’annoso problema dell’immigrazione clandestina. Non starò a rimenarla sull’argomento: ormai, è chiaro che gli immigrazionisti hanno i tappi di cera nelle orecchie; perciò, si tengano le loro idee di fratellanza universale e amen.
Vorrei, piuttosto, descrivere l’approccio pinzolese al problema migratorio, anche se, vi confesso che non sono riuscito a capire come abbia funzionato: tutto ciò che vi posso assicurare è che HA FUNZIONATO! Dovete sapere che, quassù, di immigrati non se ne sono mai visti tanti: sarà la distanza dal capoluogo, sarà la strada delle Sarche che è un tantino disagevole, sarà la tradizionale freddezza dei montagnini per i forestieri, sta di fatto che, al di là di qualche cameriera romena o slava e di qualche altro lavoratore balcanico, in val Rendena non si sono mai viste quelle torme di chombos o di africani che bighellonano per le strade di Brescia o di Milano.
Tuttavia, un paio d’anni fa, c’è stata una breve incursione invernale che, a molti, è sembrata l’avanguardia di un’invasione. Ero sceso da Prà Rodont, verso le quattro del pomeriggio di una bella giornata di sci e, passeggiando nel minuscolo centro del paese, sono stato agganciato da un africano che mi ha chiesto l’elemosina. Questo abbordaggio, in città, mi sarebbe parso del tutto normale: ormai, si passeggia facendo lo slalom tra i questuanti. In piazza Collini, la cosa mi è, invece, sembrata bizzarra e, dentro di me, ho pensato: “Ecco, ci siamo: è finita anche qui!”.
I miei timori sono stati confermati dal fatto che, nei due o tre giorni successivi, un manipolo di questi mendicanti, evidentemente organizzati da una sapiente regia, si è installato nei punti nevralgici della passeggiata pinzolese, tampinando turisti e locali con la propria insistente ecolalia: amigo, panino, dammi qualcosa. Mentirei, se vi dicessi che il mio cuore sanguini per il fabbisogno alimentare di questi giovanottoni ben pasciuti, che millantano una fame piuttosto improbabile, per arricchire qualche loro losco mandatario, magari italianissimo.
Se proprio deve sanguinare, lo fa, semmai, per gli africani che muoiono veramente di fame, e che non hanno le palanche per venire in Italia sui barconi. Fatto sta che, in famiglia, ho commentato con un certo fastidio questa incursione, postulando, col mio solito ottimismo, che si trattasse solo di un’avanguardia esplorante e che, ben presto, Pinzolo si sarebbe trasformata in un suk. Il tutto, con relative geremiadi, deliri sul vendere casa e trasferirsi in Nepal e tutto l’armamentario retorico del Cimmino quando è in piena crisi paranoide. Viceversa, dopo due o tre giorni, il plotoncino è sparito nel nulla.
Capito bene? Sparito nel nulla, come se non fosse mai esistito. Insomma, quello che è accaduto in tutto il resto d’Italia, ovvero un’infiltrazione goccia a goccia, preludio di una vera e propria migrazione di massa, in val Rendena non è accaduto affatto. L’impressione è che ci abbiano provato, abbiano sondato il terreno, ma che qualche poderoso deterrente abbia convinto gli schiavisti e i loro manutengoli a spicchettare in fretta e furia e togliersi di torno.
Non chiedetemi quale sia stato il deterrente, perché non lo so: però, lo immagino. Non penso che possa essere dipeso da un intervento dissuasore delle Forze dell’Ordine, date le direttive giunte dall’alto a Polizia e Carabinieri. Senza contare che, qui in valle, si tratta di Forze dell’Ordine molto pacifiche.
Penso, piuttosto, che qualcuno abbia fatto, in separata sede, un discorsetto alquanto minaccioso a chi di dovere. E ce la siamo sfangata. Così, la cara vecchia Rendena è tornata a essere “immigration free”.
Come dire: cattivelli ma salvi. Se volete, mi informo meglio…
Marco Cimmino