Dopo la rielezione al Quirinale di Sergio Mattarella, il Governo Draghi e tutta la politica italiana hanno dovuto mettere in agenda necessariamente il pacchetto delle riforme, dato il certificato stato di confusione delle istituzioni. Oltre alla riforma della giustizia, condotta attualmente da Marta Cartabia e che potrebbe essere puntellata anche dai quesiti referendari, un tema particolarmente spinoso è quello della legge elettorale.
Attualmente è in vigore il Rosatellum, nome dato dalla stampa alla Legge scritta da Ettore Rosato (IV) e che sostanzialmente prevede la divisione del territorio nazionale in un numero di collegi uninominali pari a circa 1/3 del totale dei seggi disponibili, mentre il resto dei seggi viene distribuito su base proporzionale con una soglia di sbarramento per le liste fissata al 3%. Per cui, nei collegi è sufficiente che il candidato prenda un voto in più degli avversari per essere eletto, ma i voti raccolti dai partiti per quel candidato concorrono anche a far eleggere altri propri esponenti indicati da un “listino” differente per le varie aree del Paese.
Questa legge ha però mostrato, con le elezioni del 2018 – le uniche sotto questo sistema elettorale – diversi limiti: il centrodestra e il Movimento 5 Stelle, infatti, sono risultati molto vicini in termini percentuali, con un 41% per la coalizione di Salvini-Berlusconi-Meloni e il 35% per i grillini, ma a condannare all’instabilità il Parlamento e il Paese è stata la distribuzione del voto, col centrodestra nettamente predominante al Nord e il Movimento che ha dominato in tutte le regioni del Sud.
Lo “spettacolo” offerto con la rielezione di Mattarella ha così portato a ridiscutere della legge elettorale, cercando un sistema che garantisca stabilità e governabilità. Ma la soluzione sembra difficile da trovare: basti guardare un sondaggio condotto da SWG con le richieste degli italiani, spacchettate per elettorato. Il 55% degli italiani vuole una nuova legge elettorale ma determinare che tipo è molto complesso. La maggioranza relativa (30%) vuole un sistema puramente proporzionale, magari con una soglia di sbarramento abbastanza alta – alcuni osservatori dicono il 5% sia sul tavolo delle trattative – e questa misura sarebbe caldeggiata dalla maggioranza degli elettori del Partito Democratico, di Forza Italia e anche della Lega, stando ai dati raccolti da SWG. A incalzare questa opzione, con il 26% delle preferenze nel sondaggio, è il maggioritario puro, ovvero la divisione del Paese in tanti collegi quanti sono i seggi disponibili, andando a sfidarsi voto su voto sui territori. Questa opzione incontra il favore degli elettori del Movimento 5 Stelle e di Fratelli d’Italia, forze che però sono numericamente inferiori – in Parlamento – per poter dare questo tipo di orientamento alla riforma. Una terza opzione, sostenuta da una copiscua minoranza degli elettori Dem, prevede un doppio turno nei collegi uninominali, permettendo così alcune alleanze strategiche post-voto sulla falsa riga di quanto avviene nelle elezioni Comunali.
Tutti e tre i sistemi hanno dei problemi di fondo: il maggioritario ovviamente ha il grave problema di “schiacciare” il pluralismo partitico perché il tutto si ridurrebbe sostanzialmente a un paio di blocchi che dovrebbero stabilire prima delle elezioni chi candidare e in quale territorio, con gli inevitabili scontri tra le segreterie. Certo lo shift verso il bipolarismo sarebbe netto e forzato, ma un sistema puramente maggioritario senza primarie nei territori e senza chiare alleanze tra i partiti rischia di far deflagrare ulteriormente la situazione.
Il proporzionale non garantirebbe la governabilità, specie in un momento come questo dove PD-FdI-Lega-M5S sono molto vicini in termini di percentuali e il rischio è che si debba ricorrere nuovamente a grandi maggioranze “allargate”, col rischio di prendere decisioni politicamente deboli e senza inquadrare chiaramente una direzione di Governo. Inoltre, alcuni partiti chiave in Parlamento – Italia Viva su tutti ma anche Forza Italia non può ritenersi totalmente al sicuro – rischierebbero di essere spazzati via da una simile riforma, costringendosi a grandi cartelli elettorali pur di arrivare in Parlamento, per poi andare ciascuno per la sua strada pochi giorni dopo l’insediamento.
Il doppio turno potrebbe rappresentare un opportuno correttivo al maggioritario, ma si devono considerare due elementi: il primo è che l’eventuale terzo polo rimasto fuori dovrebbe accontentarsi di far perdere uno dei due sfidanti, abbassando ulteriormente la rappresentatività dei propri elettori; il secondo è che nei giochi di alleanze potrebbero verificarsi gravi spaccature che poi, all’atto di formare una maggioranza, potrebbero emergere in modo sensibile non garantendo la governabilità.
Anche gli esempi dall’estero non aiutano a prendere una decisione: la legge elettorale tedesca prevede un sistema misto con il 40% dei seggi maggioritari e il 60% proporzionali con sbarramento al 5%, detto in estrema sintesi tralasciando molti correttivi e tecnicismi che rendono il sistema molto complesso e per questo poco adatto a una situazione critica come l’Italia, senza considerare che non c’è in Germania un governo “uniforme” dal punto di vista delle coalizioni dal 2013, quando si interruppe il Merkel II che comprendeva CDU-CSU-FDP, quindi democristiani, popolari e liberali; il sistema spagnolo invece è sostanzialmente proporzionale puro ma con applicazione non su base nazionale ma su base provinciale, con un numero di seggi proporzionale alla popolazione, così da rendere sostanzialmente inutile la soglia del 3% su base nazionale e costringendo i partiti più piccoli a o legarsi a candidati locali particolarmente forti o a non essere rappresentati in parlamento, favorendo i grandi partiti; il sistema britannico, invece, prevede la divisione del territorio in soli collegi uninominali ma questo sistema, come detto, è favorito dalla presenza di due grandissimi partiti (Conservatori e Laburisti) che di fatto si contendono, al netto di difficoltà rare, la leadership del Paese; infine il sistema francese (oltre a prevedere il Presidenzialismo, quindi già di per sé lontano dalla volontà della maggior parte dei partiti) prevede per le elezioni legislative soli collegi uninominali a doppio turno, con il ballottaggio che però può arrivare a comprendere anche tre o quattro candidati, ovvero tutti coloro che abbiano superato il 12,5% degli aventi diritto al voto qualora non ci sia un candidato che abbia già superato il 50% dei consensi, ma sappiamo tutti cosa avrebbe comportato questa legge elettorale nel 2018, ovvero la stessa instabilità.
Sembra allora piuttosto evidente che l’unica soluzione sia – ancora una volta – Mattarella: il Mattarellum, legge elettorale presente dal 1994 al 2005, prevedeva una distribuzione di 3/4 dei seggi in forma maggioritaria e 1/4 in forma proporzionale, spingendo così fortemente sulla governabilità senza però trascurare le minoranze che avrebbero avuto così seggi garantiti purché superassero lo sbarramento al 4%.
Nonostante certamente un impianto di soli collegi uninominali con le primarie per la scelta del candidato e una riforma in senso presidenziale del sistema elettorale sarebbe sicuramente auspicabile, probabilmente il Mattarellum sarebbe il sistema più vicino alle esigenze reali del Paese in questo momento storico, sociale e politico. Soprattutto con un Parlamento che ha già dimostrato di non avere le capacità e i numeri per fare riforme vere.
Rinaldo De Santis