Recensione di “Tu non sei un gadget. Perché dobbiamo evitare che la cultura digitale s’impadronisca delle nostre vite.” di Jaron Lanier (Mondadori, 2013).
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“Tu non sei un gadget” (Mondadori, 2013), conferma Jaron Lanier sia uno dei critici più autorevoli della contemporaneità. E molto probabilmente, il più attendibile nella critica alla tecnologia, dopo il “suicidio” di Theodore John Kaczynski, meglio noto come “The Unabomber”. Pioniere della neuro scienza e della medicina applicate alla scienza dell’informazione, nonché allievo di Marvin Minsky, padre dell’intelligenza artificiale, Lanier è una delle menti cui sono dovute le invenzioni di avatar, reti neurali sociali (e quindi social media) e realtà virtuale. Pilastri della cibernetica contemporanea, e perciò, della società del futuro. Proviamo a introdurne l’opera analizzandone alcuni capisaldi: il totalitarismo cibernetico, la tirannia assoluta del lock in e l’idea di neotenia come teoria evoluzionistica alternativa. Partiamo però con una rapida, e dovuta, introduzione all’autore prima di passare all’analisi della sua ficcante, e soprattutto lungimirante, disamina critica delle tecnologie esponenziali.
Jaron Lanier. Un Kaczynski edulcorato da Aristotele, Shakespeare e Pasolini?
La critica allo sviluppo del progresso è il vero leitmotiv di ogni testo ([1][2]) che abbiamo finora letto dell’autore d’origine ucraina e fuggito in America per scampare i pogrom dei banderisti antesignani del “pianista” Zelensky. Chiariamo sin da principio che Lanier sia apertamente a favore della tecnologia: ciò che lo inquieta, e profondamente, è l’innata tensione della Silicon Valley a corrompere il fine per cui le tecnologie digitali sono inventate. Il loro originale fine autopoietico (Aristotele-Maturana), viene nei fatti regolarmente svilito nella fase di sviluppo delle stesse, così trasformandole in strumenti di manipolazione capitalistica e sovversione antropologica. E’ stato interessante notare che, durante la presentazione del suo libro sulla realtà virtuale “Dawn Of The New Everything”, tenutasi nel dicembre 2017 a New York,[3] Lanier si sia interrogato sul fatto che l’afflato creativo della Silicon Valley possa in qualche modo essere filtrato dalla visione di “artisti maligni”. Ciò che rende “Tu non sei un gadget” molto interessante e che l’autore enuncia a chiare lettere sin dalle sue prime pagine, è il rischio che comporta il potere trasformativo del digitale. Dalla psicologia all’economia passando per la comunicazione e la “scienza”, non v’è disciplina che sia riuscita a prescindere all’ineluttabilità del modello cibernetico tradizionale. Aspetto che in pochi contemporanei dimostrano di soppesare adeguatamente. Jaron Lanier è invece molto ben consapevole di cause ed effetti del fenomeno, perciò, la critica all’opera di Norbert Wiener, padre della Cibernetica,[4] e di Ray Kurzweil, padre della Singolarità,[5] sono il fulcro della sua disamina socio-antropologica. Il modello cinese, e le prime avvisaglie in Occidente (ID e valute digitali), lasciano pensare che nemmeno l’agente dei servizi di sua maestà, Eric Blair, (George Orwell), sia riuscito a ritrarre propriamente il futuro. Lanier, dal canto, non fa troppi giri di parole per descrivere il fenomeno e parla appunto di “Totalitarismo Cibernetico”. Un leviatano digitale che affonda radici nel pensiero marxista tanto quanto in quello freudiano (l’autore ne parla anche in termini di “Maoismo Digitale”[6]): “filosofia” ontologicamente ponerologica (ai nostri occhi), e che quindi, s’estrinseca tramite una fenomenologia fascista e transumanista (a quelli di Lanier). Se Wiener vedeva nella cibernetica lo strumento principe per assoggettare il genere umano al controllo di una élite celata dietro la tecnologia e così affermare “lo stato fascista delle formiche,[7] non dimentichiamo che Ray Kurzweil, altro personaggio non poco inviso a Lanier, rivendichi apertamente, e orgogliosamente, di aver capito come usare propriamente la cibernetica, a differenza dei suoi predecessori tedeschi (o più correttamente, nazisti ndr).
Totalitarismo cibernetico: il Web 2.0 è ideologia che promuove una libertà radicale riservata alle macchine, non all’uomo.
Come già notato da autori quali Heinz Von Foerster, Federico Faggin e Douglas Hofstadter, tra gli altri, la visione comune del digitale è affetta da una petizione di principio di non poco conto, quella di vedere nella computazione una forma d’intelligenza. Il che, a sua volta, attribuisce alla cibernetica un’alea semi-divina. Lanier, ironicamente, la definisce infatti “l’oracolo sovrannaturale.” E si sa che il sovrannaturale sia innatamente privo di limiti e difetti, perciò non ci si può attendere che rispetti regole e condizioni… Attenzione, perché oltre a essere un’idea antitetica a quella di vita, può condurre verso sentieri molto scoscesi e rischiosi per il futuro l’umanità. Come ricorda Lanier, teniamo sempre a mente che la cibernetica non è nulla più che una forma di calcolo ultra-perfezionata e velocizzata rispetto all’intelligenza biologica. Non ha nulla – né mai avrà – qualcosa d’intelligente, proprio perché difetta del lato umano, quantistico, universale. E’ artificiale tanto quanto un arnese da scasso, non può essere intelligente! La cosiddetta “intelligenza” artificiale è una calcolatrice ultra-veloce, priva di coscienza, incapace di sapere dar un significato a una qualsiasi forma d’esperienza umana. E’ piuttosto la nemesi delle idee di vita biologica tanto quanto di quella di libertà. Ce la presentano avvolta in un packaging futuristico, trascendentale, “smart & cool”… ma non è nulla più che quel fenomeno, indomabile dall’uomo, su cui tanto c’avvertito Martin Heidegger. E’ tecnica: punto. Tributarne una presunta magnificenza e giustificarne la propagandistica “inevitabilità”, non fa che evidenziare, e in tutto il suo nitore, la palese ingenuità e assenza di amor proprio e buon senso del genere umano. Come diceva Ted Kaczynski, “anche l’eccessivo anti-americanismo distoglie l’attenzione dal vero problema[8] ” perché “la tecnologia è una forza sociale più forte dell’aspirazione alla libertà.[9]” Perciò il totalitarismo neoliberista è precondizione di quello cibernetico: perché il computazionalismo ha bisogno di spingere a un altro livello la negazione della specificità della personalità individuale. Solo così potrà concorrere a produrre individui sempre più simili e di un livello sempre inferiore. Non v’è di che stupirsi, come nota Lanier, se tale fenomeno sia celebrato come “free & open”. In accordo ai principali dogmi della società aperta, di cui finora la cibernetica ha evidenziato più di qualsiasi altra cosa, l’innata propensione a depauperare l’interazione tra le persone, e il valore delle stesse, più che a costruire il luminoso futuro che tale ideologia racconta di promuovere. Un’ideologia che ha bisogno di “liberarsi” di tradizioni, usi e costumi locali, proprio per dare spazio a una nuova e definitiva, immutabile, razionalità tecnologico-scientifica, ergo, a-umana. Una società in cui gli uomini saranno ridotti a risorse computazionali, come spiega lo stesso Lanier in “Who Owns The Future?”. Bisogna arginare questa tensione ad attribuire alla tecnologia uno status d’oracolo sovrannaturale, torreggiante sopra gli individui come se fosse un fenomeno superumano. Perché sta contribuendo a creare una mente alveare, collettiva, che distrugge l’individuo, la sua capacità d’analisi critica e la possibilità per i singoli di trovare la propria strada al di fuori dell’imperativo antropologicamente totalizzante che è il digitale. Il “fidati della scienzah e degli espert*” con cui han tentato di rimbecillirci durante la psicodemia è stato solo l’antipasto “dell’impossibile errore tecnologico” che presto garantirà pari condizioni, uguaglianza, libertà, ma soprattutto democrazia, a chiunque in futuro. Giunti a tal punto, sarà difficile tornare dove siamo senza l’extrema ratio professata da Kaczynski. Per fugare potenziali accuse di catastrofismo, lasceremo che sia Jaron Lanier a giustificare tali preoccupazioni tramite l’analisi del concetto di “Lock In” e la presentazione dei suoi cadaveri eccellenti.
La tirannia assoluta del “lock in” e i suoi cadaveri eccellenti.
Per “Lock In” s’intende un applicativo tecnologico preesistente, una forma di tecnologia essenziale per il funzionamento di un software e dalla quale, qualsiasi tecnologia successiva a essa, non può prescindere per svolgere un determinato compito o offrire un certo servizio. Lanier spiega che modificare un software da cui dipendono molti altri software sia l’ultima cosa s’auguri di fare un tecnologo e infatti, non succede quasi mai. L’idea di lock in, è l’anima vera a propria del totalitarismo cibernetico. Perché una volta impostato il sistema verso una determinata direzione tecnologica, rende impossibile modificarlo senza dover a sua volta alterare in qualche modo ogni singolo passaggio che ha permesso di creare il sistema stesso. Un’anima che si nutre, chiaramente, delle tecniche tipiche del metodo scientifico: rimuove opzioni alternative per questioni di facilità e convenienza, o perché è politicamente preferibile, o perché è di moda, o perché, è semplicemente accaduto per caso e va bene così. Un’anima che, essendo digitale, artificiale, combatte la filosofia per partito preso giungendo, dice Lanier, “a reificare le nostre filosofie attraverso il lock in prima che noi siamo pronti.” Tutto ciò, a discapito ovviamente dell’unicità e autenticità dell’esperienza umana. E qui arriviamo ai cadaveri eccellenti, espressione che usiamo per tributare uno dei fantastici film del compianto regista italiano Francesco Rosi[1]. Lanier dice apertamente che tale sistema, sulle ali dell’esponenzialismo che guida la crescita delle tecnologie cibernetico-digitali, non potrà che trasformarsi in un tiranno assoluto che alla lunga, scaglierà nell’oblio le tradizionali idee di spiritualità e moralità tanto quanto del mondo degli affari. D’altronde, la cibernetica di Wiener, sviluppata in seno a una logica computazionale esponenziale facente perno sul lock-in e diretta verso la singolarità kurzweiliana, se supportata anche da politiche di emissioni zero e di genere, potrebbe rischiare di trasformare il pianeta in una nuova Mordor molto presto, a detta d’alcuni.
La neotenia come strategia evoluzionistica della cibernetica del futuro.
Come ovviare a tale rischio? Lanier suggerisce di concentrarsi sulla neotenia per trarre qualche ispirazione che possa essere frutto di sviluppi positivi per il futuro dell’uomo. La neotenia è una strategia evoluzionistica presente in varie specie per cui le caratteristiche della fase iniziale dello sviluppo sono mantenute per tutta la vita dell’organismo. La neotenia offre palese evidenza della regressione antropologica che ha concorso a causare la tecnologia “tradizionale” nei paesi cosiddetti sviluppati. Facciamo una premessa. L’uomo nasce molto più stupido rispetto alle forme di vita animale: seppur poi s’evolva – apparentemente – in maniera molto più articolata. Prendiamo il caso dei cavalli, che sono già in grado di muoversi propriamente sin dalla nascita e possono avvalersi della quasi totalità delle loro funzioni intellettuali sin da quel momento. Se confrontiamo il potenziale del divenire umano dalla prospettiva della neotenia, comprenderemo presto il rapporto tra il cambiamento nelle persone e lo sviluppo della tecnologia cibernetica. Perché la cibernetica tradizionale (Wiener-Kurzweil ndr), inverte il processo che l’uomo dovrebbe assecondare per sviluppare se stesso, lasciando invece che egli vegeti, facendo affidamento su di essa. Anche perciò, chi elogia la comodità di Amazon o di altre forme di cibernetica, da dimostrazione d’essere scientificamente scemo. Prendiamo l’infanzia umana per giustificare il nostro assunto. Proviamo a paragonare la lunghezza che essa aveva nell’antica Grecia o ha tuttora in molti paesi sottosviluppati a quella che ha nei paesi tecnologicamente evoluti. Vogliamo veramente sostenere che un bimbo di 8/10 anni, oggi, sia più responsabile, forte e intelligente che ai tempi dei classici? E ciò perché le sue relazioni con la vita sono molto più mediate, non solo per via di strutture sociali e para-sociali, costrutti sociali che hanno compartecipato a creare l’idea d’educazione dei genitori e dei maestri, ma soprattutto, per la cibernetica. Purtroppo, il bambino contemporaneo dovrebbe già sapersi destreggiare tra un coacervo d’influenze digitali e verbali che tutto gli permettono ma una relazione autonoma, indipendente e “immediata” con la vita. Cosi, permanendo molto più a lungo in uno stato d’infante. Karl Kraus ha scritto che “Certi talenti conservano la loro precoce maturità fino a tarda età.”[11] E ai nostri occhi, tale assunto riassume in un lampo tutto il ragionamento di Lanier sulla neotenia. Un altro aspetto interessante evidenziato da Lanier è che la deriva transumanista che si prefigge d’estendere la lunghezza della vita media, nel medio termine comporterà dei grandissimi squilibri di carattere socio-ideologico, ritardando drasticamente ogni potenziale mutamento dello status quo politico. All’estensione della lunghezza della vita media corrisponderà infatti l’estensione della lunghezza della vita media di determinati ideali o concetti su cui le masse verranno indottrinate. Perciò, vivendo più a lungo, sarà molto più difficile pensare di operare dei cambiamenti alla mentalità delle masse nel medio breve termine. Il che renderà ogni possibile riforma del sistema molto ma molto più ardua rispetto al già difficilissimo momento. Anche perciò, la colpa è delle vittime. Perché solo noi possiamo distaccarcene abiurando tv e social media (Meta e TikTok), leggendo libri cartacei il triplo della media e dedicandoci ad attività fisica. Solo noi possiamo lavorare per imporre una regolamentazione umana del fenomeno. Solo noi possiamo opporci al totalitarismo cibernetico. Vorremmo dilungarci nel trattare altri illuminanti aspetti di questo preziosissimo testo di Lanier, su tutti il caso di Will Wright e del software Spore come esempio di visione chiusa, conservatrice e positivamente propositiva per il futuro, ma “Tu non sei un gadget” è senza dubbio un’ottima proposta da mettere sotto l’albero di Natale 2023 a tutti quei familiari, e amici, entusiasti di scienza, tecnologia e presunto progresso. Perciò, vi lasceremo confidando cogliate il nostro suggerimento recandovi il più presto in libreria per acquistare almeno due copie di questo fondamentale testo di Jaron Lanier.
Foto di copertina Jaron Lanier
[1] Jaron Lanier. Who Owns The Future? Simon & Schuster. 2013
[2] Jaron Lanier. Dawn Of The New Everything. Vintage. 2017
[3] Jaron Lanier. Dawn Of The New Everything https://www.youtube.com/watch?v=4uzr3v0DY6U
[4] Norbert Wiener. Introduzione alla Cibernetica. L’uso umano degli esseri umani. Bollati Boringhieri.
[5] Raymond Kurzweil. La Singolarità è vicina. Apogeo. 2008
[6] Jaron Lanier. Digital Maoism. EDGE. 2006
[7] Norbert Wiener. Introduzione alla Cibernetica. L’uso umano degli esseri umani. Bollati Boringhieri. 2012. P. 76
[8] Theodore John Kaczynski. Schiavitù Tecnologica. Vol. 1 Ortica Edizioni. 2022. P. 205
[9] Ivi. P. 98
[10]Francesco Rosi. Cadaveri Eccellenti. 1976. https://www.youtube.com/watch?v=Q4lQhEZmpp8
[11] Karl Kraus. Detti e contraddetti. Adelphi. 2013. P. 283