Da alcuni anni ormai, il nostro modo di pensare sembra entrato in una fase di “stallo”.
Da un lato la fede nel progresso tecnico, a lungo stella polare delle società occidentali, appare erosa dal moltiplicarsi delle crisi ecologiche e sociali (riscaldamento globale, perdita della biodiversità, assottigliamento delle riserve energetiche e idriche, approfondirsi delle differenze tra nord e sud del mondo, incapacità di rispondere ai bisogni primari di milioni di persone) che rendono sempre più difficile mantenere il progresso tecnologico stesso, dove la stessa nozione di “progresso” − l’idea di un movimento in avanti della nostra storia – appare difficile da conciliare con la constatazione che, da un punto di vista ambientale e umano, le nuove tecniche sono spesso meno sostenibili di quelle vecchie.
Dall’altro lato, nondimeno, nessuno sembra davvero disposto ad abbandonare i benefici dei sistemi tecnologici contemporanei: né le società sviluppate, ormai dipendenti dalle proprie infrastrutture tecniche, né le società in via di sviluppo comprensibilmente affascinate dai vantaggi dell’industrializzazione. Per quanto sporche e ingiuste si dimostrino le nostre tecnologie, pochi sono pronti a rinunciare ai comfort della modernità.
Tale è il dilemma della tecnologia contemporanea.
Un dilemma che non ammette facili soluzioni: nessuno può affidarsi ingenuamente allo sviluppo tecno-scientifico, conoscendo i problemi che lo accompagnano, ma nessuno può augurarsi a cuor leggero un ritorno alle tecnologie tradizionali, poiché questo significherebbe uno sconvolgimento drammatico delle nostre condizioni di vita.
Le società moderne quindi si trovano in una situazione di stallo, proprio nel momento in cui l’intensità e l’urgenza delle crisi (economica, ambientale e aggiun gerei sociale) a cui sono confrontate richiederebbero coraggio e fermezza.
L’entusiasmo per la scienza e la tecnologia che hanno marcato l’ascesa della modernità lasciano il posto all’incertezza e alla mancanza di fiducia. Due possibilità si confrontano senza che l’una riesca a prevalere sull’altra: andare avanti o tornare indietro.
La prima via è quella dello sviluppo sostenibile.
Secondo questa dottrina, dalle difficoltà della scienza e della tecnica moderna non si esce che sviluppando ancora di più la scienza e la tecnica. È la soluzione di chi non si rassegna ad abbandonare le ideologie progressiste; di chi, intrapresa una rotta perigliosa, decide di seguirla fino in fondo, sperando nel sereno oltre la tempesta.
La seconda via è quella della decrescita.
Secondo questa dottrina, il benessere promesso dallo sviluppo tecnico ed economico è sempre stato un inganno e un’illusione: un inganno perché l’abbondanza moderna si basa sullo sfruttamento illimitato di risorse limitate e sullo sfruttamento illimitato dell’essere umano, un’illusione perché nessun’abbondanza, per quanto crescente, potrà mai saziare il desiderio egoistico di felicità degli esseri umani. È, comunque, la soluzione di chi, con entusiasmo o a malincuore, decide di tornare sui propri passi.
Per usare un esempio banale:
mentre lo sviluppo sostenibile è la soluzione di chi utilizza lampadine a basso consumo per diminuire la propria impronta ecologica, la decrescita è la soluzione di chi preferisce risparmiare energia limitando l’illuminazione. Attenzione! Entrambe le soluzioni sono ragionevoli ed entrambe sono preferibili alla situazione di crisi in cui si trovano oggi le società moderne.
Eppure, nessuna di queste due dottrine appare abbastanza convincente da superare lo stallo della tecnica moderna.
Lo sviluppo sostenibile pecca di un ottimismo non plausibile, la decrescita di una nostalgia poco convincente. Da un lato, ci si chiede di proseguire (anzi accelerare) lungo un binario che potrebbe essere morto. Dall’altro ci si chiede di abiurare a quello in cui abbiamo creduto nell’ultimo secolo e rinunciare a quanto di buono ci sembra di aver raggiunto.
Così le società contemporanee sono poste di fronte alla scelta tra il continuare lungo una strada sbagliata e il tornare indietro lungo la medesima via.
Dall’impossibilità di questa scelta nasce lo stallo del nostro modo di pensare alla tecnologia.
È interessante notare, tuttavia, che questo blocco è soprattutto concettuale e dipende largamente da come definiamo il campo delle nostre alternative.
Da un punto di vista pratico non esiste ovviamente alcuna contraddizione tra utilizzare delle lampadine a risparmio energico e utilizzare solo l’illuminazione veramente necessaria. L’opposizione tra sviluppo sostenibile e decrescita non esiste nella pratica, come nella pratica potrebbe non esistere l’opposizione tra “modernità” e “tradizione”.
Secondo i teorici dello sviluppo sostenibile, la decrescita è un’ideologia reazionaria; mentre secondo i teorici della decrescita, lo sviluppo sostenibile è, al meglio, il miraggio di chi non vuole arrendersi all’evidenza e, al peggio, l’imbroglio di chi trae vantaggio dalle crisi della contemporaneità.
Fino a quando descriveremo le tecnologie moderne e quelle tradizionali come sistemi opposti, il dilemma della tecnica contemporanea continuerà ad apparire senza speranza. Fino a quando la scelta sarà limitata a rassegnarsi alla modernità o rinunciare a essa, fino ad allora saremo in un vicolo cieco. Pur capendo d’esserci spinti troppo lontano nello sviluppo tecnologica, non saremo mai capaci di fermarci fino a quando l’unica alternativa sarà di tornare ad un passato che pochi rimpiangono.
Ecco perché le soluzioni proposte alla crisi ecologica e sociale non riescono a garantirsi l’appoggio che necessitano: esse impongono alle società contemporanee una scelta impossibile tra compromettere il futuro e ritirarsi nel passato. Se esiste una soluzione allo stallo della tecnica moderna essa non può passare che per un ripensamento radicale dell’opposizione tradizione/modernità.
di Marco Affatigato