Poco più di un secolo fa, nel 1909, Filippo Tommaso Marinetti pubblicava sulle colonne di Le Figaro, il suo “Manifesto del Futurismo”. Un testo straordinariamente delirante in cui l’ideologia della modernità è distillata e portata alle estreme conseguenze:
<< Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta>>
Al di là dei suoi esiti poetici e artistici, il movimento Futurismo ha certamente saputo esprimere lo spirito dei suoi tempi: la fiducia nel progresso scientifico e tecnologico, l’ebbrezza della velocità e della potenza, la passione per la conquista.
Con coerenza, il Futurismo non ha trascurato il lato violento della modernità, il suo amore per la guerra, per il confitto, per la conquista, aderendo al movimento fascista, ma ha saputo vedere come la spinta espansiva dei collettivi moderni nascesse da un entusiasmo genuino.
Il XX secolo che ci siamo da una venticinquina d’anni lasciati alle spalle è stato il secolo della crescita economica, dello sviluppo industriale, dell’innovazione tecnologica, del progresso scientifico. Un secolo in cui l’espansione moderna sulla Natura e sulle comunità tradizionali sembrava destinata a condurre alla nascita di un mondo migliore.
Questo entusiasmo, insieme alla forza della formalizzazione e del controllo di cui abbiamo detto, ha permesso ai moderni di fare grandi cose, di raggiungere traguardi inimmaginabili alle altre collettività umane e, contemporaneamente, di commettere gli enormi errori che oggi mettono a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta.
L’ebbrezza per il progresso dei moderni sarà stata anche mal riposta, ma di certo essa ha dato alle società occidentali la spinta per trasformare radicalmente (e in appena un secolo) se stesse e il mondo. Si pensi di nuovo al Futurismo: non si può sottovalutare lo slancio di quell’entusiasmo.
Dov’è oggi quello “slancio di entusiasmo”?
Per risolvere i problemi che abbiamo ereditato e che lasceremo in eredità alle nuove generazioni, per uscire dallo stallo della tecnologica, occorre riuscire a mobilitare oggi altrettanto entusiasmo ed energia.
Siamo nell’incapacità di generare l’impulso di rinnovamento di cui abbiamo disperatamente bisogno.
Siamo incapaci di elaborare una visione positiva in grado di incanalare le energie di cui abbiamo bisogno. Una visione positiva e trasformatrice non inspira soltanto, ma crea lo spazio cognitivo per mettere in discussione i preconcetti e far emergere nuove idee.
Qui’ nasce la sfida per noi stessi: mettere da parte l’opposizione modernità/tradizione e cominciare a riflettere in termini di affiancamento modernità/tradizione.
La tradizione può offrirci il rinnovamento intellettuale di cui abbiamo bisogno. Può darci l’entusiasmo per tornare ad innovare, ma in una direzione diversa da quella che la modernità ci ha portato allo stallo.
Attenzione però: occorre che l’affiancamento modernità/tradizione sia capace di onorare nella pratica le sue promesse ideologiche. Non bastano le buone intenzioni.
Marco Affatigato