Mi sono sempre domandato “perché ci deve essere opposizione o contrapposizione tra modernità (il progresso) e la tradizione e i suoi valori?”. Ogni società non può fare a meno del suo percorso storico, perché deve essere quindi difficile guardare alla contemporaneità e progredire pur mantenendo fermi quei valori naturali inalterabili?
Sebbene, probabilmente, non sia stata la sociologia a inventare quest’opposizione, il pensiero sociologico ha certamente contribuito ad approfondirla e radicarla. Ecco perché è utile discutere circa l’evoluzione della distinzione “moderno” e “tradizione” all’interno della storia della sociologia.
Certamente può essere un “rompicapo” … ma forse perché lo creiamo tale. Il dilemma della relazione tra la coppia comunità/società e la coppia tradizione/modernità, si tratta di due binomi concettuali del tutto separati essendo il primo una distinzione di tipo teorico e il secondo una successione di tipo storico. In senso stretto, la distinzione comunità/società non fornisce alcuna indicazione sullo sviluppo diacronico delle forme di vita collettiva, limitandosi a individuare due ideali-tipi antitetici d’organizzazione sociale: da un lato le comunità, gruppi semplici e coesi caratterizzati da legami sociali forti e omogenei, dall’altro le società, costellazioni disperse e complesse di relazioni deboli e specializzate. Ma i due ideali possono sommarsi e formare quella che può essere definita “società comunitaria organica”
Ciò nondimeno, nella storia della sociologia, tutte le definizioni proposte per la distinzione comunità/società hanno finito, presto o tardi, per essere rilette in chiave storica come interpretazioni del processo di modernizzazione.
La sovrapposizione di comunità-tradizione e società-modernità può creare quel tessuto denso e totalizzante della convivenza comunitaria e il reticolo rarefatto e puntuale delle relazioni societarie.
La solidarietà meccanica-organica di Durkheim (1893), il disincantamento di Weber (1922), la differenziazione funzionale di Parsons (1951), la formalizzazione tecnologica di Heidegger (1954), l’autopoiesi sistemica di Luhmann (1991), tutte queste teorie condividono l’idea di un movimento della storia (quanto meno di quella Occidentale) verso forme di vita collettiva sempre meno comunitarie. Naturalmente, tutte le teorie citate sono abbastanza sofisticate da ammettere la permanenza nel mondo contemporaneo di legami di tipo comunitario (tipicamente all’interno della famiglia e dei gruppi locali). Tali legami, tuttavia, non sopravvivono che come oasi nella desertificazione delle società moderne.
Esiste però, a mio avviso, un’altra possibilità: quella di separare le distinzioni comunità/società e tradizione/modernità e di definire il processo di modernizzazione non in termini di sostituzione, ma di affiancamento: tradizione e modernità, comunità e società. Non comporta dunque alcun superamento della “tradizione” ma, al contrario, si affianca una forma di socialità supplementare piuttosto che alternativa, con il risultato che la modernizzazione è dunque quello di favorire la nascita di relazioni nuove senza estinguere necessariamente quelle tradizionali, coesistendo per ammorbidire la distinzione tra “tradizione” e “modernità”.
È possibile, quindi, superare queste “frontiere” tra modernità e tradizione, addirittura abbattendole.
di Marco Affatigato