Partiamo subito con una prima domanda: bisogna lasciare al bambino/a la decisione di cambiare il proprio sesso di nascita?
E’ questa, infatti, la domanda posta oggi dai genitori, preoccupati per lo sviluppo del loro bambino, oppure che già vogliano cambiare sesso come la figlia di Angelina Jolie (Nota 1), o ancora prime della nascita come Emily Ratajkowski che non vuole essere informata circa il sesso del/la nascituro/a che sta portando in grembo lasciandogli la decisione che vorrà prendere alla sua maggiore età e quindi che, consapevolmente, deciderà (Nota 2) ?
Questa intenzione di rispettare il bambino è lodevole; ma il modo di farlo, più dirompente che favorevole al suo sviluppo. Infatti questa decisione si basa su una paura: quella di “assegnare” il/la bambino/a a un sesso che non sarebbe conforme ai suoi sentimenti; e questa paura sta travisando ciò che fa sentire il bambino come un ragazzo o una ragazza.
Infatti il bambino percepisce presto che il suo corpo è sessuato: la differenza tra ragazzo e ragazza lo incuriosisce, cerca la spiegazione dalla parte della madre-padre, supponendo che lei, la madre, svolga un ruolo nel loro potere di procreare. Un ruolo che può affascinare.
Come appropriarsi di questo corpo sessuato, come renderlo il proprio corpo, la base di una definizione di sé stessi che porta a dire come una cosa ovvia: “Sono un ragazzo / sono una ragazza”?
Questo si basa sul rapporto di identificazione che caratterizza il legame genitore-figlio/a e lo fonde: la figlia si sente una figlia nel legame con la madre che era una bambina nel suo passato; l’identificazione diffonde la femminilità tra di loro, come destino condiviso.
Il bambino si appropria del suo corpo sessuale in armonia e comunità di un vissuto con il genitore dello stesso sesso: lei, orgogliosa di essere una figlia sogna più tardi di essere madre; lui, orgoglioso di essere un ragazzo in una mascolinità che si acquisisce nel dibattito di rivalità con suo padre. La tessitura di questo legame è favorita se l’orgoglio è condiviso, tra madre e figlia, tra padre e figlio.
Madre e figlia, padre e figlio «s’incontrano», anche se non sempre, a seconda di ciò che ogni genitore mantiene come impronta della propria infanzia e di ciò che ogni bambino accoglie o rifiuta di ciò che gli viene trasmesso. La sua nascente vita immaginaria lo fa sognare il suo doppio, questo alter ego dell’altro sesso, e s’interroga: “se fossi stato un ragazzo” per la ragazza (viceversa per il ragazzo). Questa versione dell’altro sesso avrebbe soddisfatto meglio le loro aspettative?
Il sogno può non essere sufficiente a portare la risposta, allora il/la bambino/a vorrà ricorrere all’esperienza propria vissuta, unendosi ai gruppi dell’altro sesso e impegnandosi nei loro giochi preferiti. Questo riflette una perplessità: essere dell’altro sesso avrebbe garantito di essere più sicuramente amato / amata? Questo può portare a una richiesta di cambiare sesso; ma non è certamente una testimonianza di maturità, ma un’indicazione di malessere che riflette la sensazione di essere in contrasto con i sessi. Una “manifestazione” che deve essere presa sul serio, ma il che non significa prenderla alla lettera.
Le madri come Angelina Jolie e Emily Ratajkowski, delle quali ho scritto sopra le loro preoccupazioni, potrebbero non capirlo nel modo che ho descritto. Questo perché vivono in paesi anglosassoni la cui cultura non conosce l’abile dialettica compiuta del legame genitore-figlio/a sviluppato dalla cultura italiana o latina, che ho appena esposto, dove la comprensione della sessualità è rimasta binaria; per molto tempo vi ha regnato la teoria organica che riassumeva il sesso dal solo dato visibile corporeo, imponendolo come un destino tracciato e normativo. Così sono stati esclusi gli omosessuali e lesbiche nelle società occidentali, come ancor oggi sono esclusi nelle società islamiche.
Gli attivisti gay e lesbiche, soprattutto negli USA, lo hanno contestato e non senza ragione, ma anche loro sono stati presi in contro-piede: la teoria del genere, che si sostituisce al “diktat del corpo”, che denuncio. E’ il dominio della mente che crea il sentimento personale per definire l’identità sessuale indipendentemente dalla realtà corporea. Ma così espressa, a mio parere, questa tesi è altrettanto riduttiva come quella che veniva a smentirla, semplicemente invertendo i termini. A mio semplice parere sono i sentimenti e la determinazione personale che diventano l’unico criterio di identità sessuale.
Allora questo approccio riduttivo del “genere”, il creare “commissioni di insegnamento”, si traduce nella paura di “incarichi” educativi che impongano quelli che vengono chiamato “stereotipi”: qualsiasi interferenza nella vita educativa causerebbe violenza al/la bambino/a. Dare bambole alle bambine sarebbe “imporre loro” codici fissi ma è anche omettere che la bambina con le sue bambole mette in gioco, nel pieno senso della parola, il sogno di diventare madre in seguito, supportata dall’identificazione con sua madre e dal suo desiderio di diventare grande. L’identificazione è la catena di una trasmissione, la guida in un’esplorazione del/la bambino/a, non lo/la imprigiona ma al contrario lo/la porta alla libertà: può contestare il modello, non se ne priverà nell’adolescenza. Ed è questo che, come genitori, dovremmo desiderare per lui, per lei.
Tutto questo, la “teoria del genere” lo rifiuta; ma su quale base di riflessione?
Il suo vuoto teorico si nasconde dietro la vittimizzazione che, da sola, ne ha permesso il successo:
– l’omosessualità sarebbe innata (“nata/o così”);
– la volontà di cambiare sesso sarebbe il risultato di un “errore della natura” che avrebbe assegnato un’anima femminile a un corpo maschile (o viceversa), chiedendo una riparazione medica e sociale. Ecco che la “teoria del genere” appare come la versione moderna della vecchia fantasia umana: prendere il controllo della sessualità. Essa riassume lo sviluppo del bambino concedendogli il privilegio di determinare il suo sesso come lo vorrebbe da adulto/a.
Ne risulta la risposta dei paesi anglosassoni e nordici al desiderio di cambiare il sesso emesso da un bambino/a o da un/una adolescente, così da esportarla nei paesi latini via la Commissione Europea. Questo «cambiare sesso» è gestito da un adattamento del corpo al sentire piuttosto che dal sollievo interiore. In altre parole è ciò che affascina più che l’aiuto all’essere che si materializza in una nozione: “disforia di genere”, un termine con un fascino più saccente che esplicativo, ma che convalida il cambiare la realtà corporea, medicalizzando una “transizione” verso l’altro sesso impegnandosi in trattamenti invalidanti, bloccanti la pubertà e l’iniezione di ormoni sessuali spesso irreversibili, che racchiudono il/la bambino/a nel suo approccio e portano il grande rischio di trascinarlo in un vicolo cieco con uscite drammatiche.
Questo è l’approccio dei paesi anglosassoni e nordici. Questo è l’effetto della loro ignoranza o esclusione dai processi psichici ben noti alla cultura psicologica latina, italiana, ma da loro ignorati.
Questa potrebbe essere un’opportunità per loro di influenzare le loro concezioni. Invece è accaduto il contrario. Le pratiche di questi paesi sono ora importate in Italia, in Spagna, in Francia, ecc. via la Commissione Europea.
Piuttosto che sostenere l’approccio psicologico prudente in cui eccelle, comprensivo e rispettoso, associando genitori e figli e dipanando pazientemente l’intreccio dei loro sentimenti, la cultura italiana si è lasciata già da diversi decenni, su questo argomento e più in generale su tutti quelli riguardanti il legame familiare, invadere dai principi della cultura anglosassone, malgrado che sia erede di una società allo stesso tempo rudimentale nella sua conoscenza della vita psichica e, che va che va di pari passo, più intollerante nelle relazioni sociali (è bene ricordare che l’Italia, d’altra parte, ha depenalizzato l’omosessualità nel 1890 mentre negli USA dagli anni ’60 in alcuni Stati e dal 26 giugno 2003 in tutti gli altri territori che ancora criminalizzavano la sodomia; Inghilterra e Galles nel 1967 , 1981 in Scozia e 1982 in Irlanda del Nord – vedere la scheda allegata per gli altri Stati: https://it.wikipedia.org/…/Depenalizzazione_dell….).
Come possiamo comprendere questa rinuncia, risultato della sottomissione anno dopo anno del diritto italiano alle dichiarazioni della Commissione Europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo che legiferano secondo i principi del diritto anglosassone? La cultura del legame familiare è stata devastata dalle leggi su tutti i temi familiari e le leggi della bioetica, destrutturando e decostruendo il legame genitore-figlio/a nel proprio equilibrio della nostra cultura. Un autentico saccheggio, tanto più incomprensibile quanto ingiustificato. I principi di altre culture possono essere pertinenti e rilevanti per loro, ma destabilizzano coloro che regolano la vita familiare in Italia, con conseguenze assicurate sui legami sociali.
Marco Affatigato
Nota 1 : https://www.prealpina.it/…/la-figlia-di-angelina-jolie…
Nota 2: https://dilei.it/…/emily-ratajkowski-il-sesso…/753994/