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L’opinione: oggi un po’ di storia; lo “Ordine Nuovo” o la preistoria europea

Quando le potenze dell’Asse assicuravano la loro egemonia sul continente Europa, tra il 1940 e 1944, la costruzione europea era già un oggetto di riflessione e di scenari.

Due mesi dopo lo «Sbarco», mentre la battaglia di Normandia proseguiva, il 10 agosto 1944, nella città di Strasburgo sempre occupata, una «discreta» riunione concentrava una ventina di grandi industriali tedeschi sotto la direzione di un alto funzionario del ministero degli Armamenti. All’ordine del giorno, segreto, di questa riunione: anticipare, nell’ipotesi della sconfitta del Reich, giudicata come possibile se non probabile, le condizioni di sopravvivenza dei gioielli dell’economia tedesca. In quella riunione viene raccomandato ai «padroni» presenti di riprendere contatto con i loro partners stranieri e di spingere verso l’integrazione dei loro «gruppi», in una Europa in cui la Germania fosse vinta.

Questa posizione è audace, visto che il Fuhrer considera qualsiasi alternativa a una vittoria come un atto di tradimento. Ma questo scenario di una Europa industriale più unificata, l’interpenetrazione dei grandi gruppi, già iniziata prima della guerra, è perseguita anche durante il conflitto. Il gigante dell’industria chimica IG Farben concluse degli accordi con i francesi di Francolor (industria dei coloranti) e con Rhone-Poulenc (farmacie). Continental invece si accorda con la rivale Michelin. La Deutsche Bank mantiene le sue buone relazioni con la Societé Générale Belga, perno della finanza in Europa.

Nella fascistissima Italia di Mussolini, Alberto Pirelli, padrone del gruppo che porta il suo nome e presidente della Confederazione Generale Fascista dell’Industria, non ha mai smesso di perorare per istituire dei raggruppamenti economici sufficientemente vasti per far fronte alle esigenze moderne controllate efficacemente da un «centro comune».

Il 18 aprile 1951 con la nascita della «Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio», embrione del futuro «Mercato Comune» europeo, prima tappa verso l’attuale Unione Europea, non sarà una creazione «ex nihilo». Le pietre miliari poste in una Europa in rovine, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, rimandano a una corrente di idee pre-belliche ma anche a delle riflessioni impegnate portate avanti da uomini inseriti in posti importanti, anche se in secondo piano, in seno ai regimi tedesco e italiano.

Certamente, il concetto hitleriano dell’Europa unita rinvia ad un continente Europa (dall’Atlantico agli Urali) dominato dal Reich, agli antipodi dell’attuale costruzione europea. È comunque rilevare che la parola «Europa» non è presente nel Mein Kampf, il libro programma di Adolf Hitler pubblicato nel 1925. Eppure, l’Europa del «dopo 1945» si è in parte sviluppata in reazione e contro quella degli anni 1930 et 1940, e anche però una continuità nelle evoluzioni e profondità dell’economia, della società, della cultura e in numerosi itinerari individuali. L’Europa dell’Asse ha esercitato una influenza duratura, fino all’Unione Europea attuale, sia come lamina che come punto focale, e esempio di virtualità europee da scartare definitivamente ma anche come «quadro» o contesto in cui molte delle entità e molti degli individui hanno cominciato, malgrado tutto, a riflettere in modo concreto ai metodi suscettibili di unificare il continente.

Il percorso degli uomini illustrano queste «continuità», anche se a volte sono sinuose. Nel 1930, il diplomatico tedesco Otto Abetz, arrivato alla diplomazia dalla «social-democrazia», e il giornalista francese Jean Luchaire, anche lui di sinistra, in una pensione nella Foresta Nera, a Sohlberg, organizzano un incontro tra le gioventù dei due paesi ancora segnati dalla Prima Guerra. L’avvenimento avrebbe dovuto portare all’eliminazione delle frontiere. Dieci anni dopo Abetz é ambasciatore del III° Reich in Francia e Luchaire, invece, è incaricato del «controllo della stampa» sotto Vichy (alla Liberazione sarà fucilato) e tutti e due sono partigiani di una collaborazione più stretta tra le élites dei loro due paesi. Nell’Italia fascista, invece, il simposio internazionale organizzato a Roma nel novembre 1932 dalla Fondazione Volta, intitolato «L’Europa», accoglie personalità e intellettuali, fra i quali dei liberali in cerca di unità politica del continente. In Germania la nozione sviluppata dal potere nazional-socialista di «un grande spazio economico» raggiunge le ambizioni dei gruppi industriali desiderosi di riporre la Mitteleuropa, l’Europa centrale e orientale, all’economia tedesca. È intorno a questo sogno di «grande spazio» integrato, convinti della caducità degli «Stati-nazioni», che si profila la visione di una costruzione europea sopranazionale, retta da «un diritto continentale» sotto la dominazione tedesca. Anche se convinti della vittoria, una parte dell’apparato hitleriano pensa ad una riorganizzazione del continente che non sarà una «Versailles al contrario» ma che porterebbe ad una dominazione tedesca consentita dai popoli vinti. Una pax germanica, insomma. Direttore degli Affari Economici del ministero tedesco degli Affari Esteri, Carl Clodius il 20 agosto 1943 presenta un progetto di «mercato europeo», senza tasse interne, con dei prezzi agricoli fissati ovvero una «politica agricola comune» prima del MEC.

L’economista Werner Daitz, partigiano di uno spazio economico europeo, secondo innanzi alla crescita della potenza americana e di un futuro blocco cino-giapponese, a partire dal 1942 inventa la nozione di «comunità economica europea»… promessa dell’avvenire. Al ministero dell’Economia tedesco, un gruppo di esperti (tra i quali Ludwig Erhard, futuro padre del «miracolo economico» della Repubblica Federale Tedesca e futuro cancelliere), protetto dal generale SS Otto Ohlendorf, persuasi della prossima sconfitta del Reich, gettono le basi per un «mercato unico europeo» in cui la Germania si ricostruirebbe. Ma non sono gli unici.

Il tema dell’unità della Europa si presta a diverse varianti. A partire dell’estate del 1944 é ancora più netto oltre il Reno, dove già si prevede la disfatta e la caduta della Germania. La questione dimora nei «padroni» e negli «intellettuali» conservatori che si ritrovano nella dissidenza, nel complotto del 20 luglio 1944 contro Hitler. Questa opposizione, guidata dall’ex sindaco di Liepzig, Carl Goerdeler, e dal generale Ludwig Beck, si accordano su un «progetto europeo di cooperazione economica» tedeschi, vincitori e vinti. Il «Circolo de Kreisau» (dal nome del castello della famiglia von Moltke) fondato dal giurista Helmuth James von Moltke, di stanza all’Abwehr, i servizi di informazione militari, sviluppa un «programma per una Europa Federale» fondata sull’unione doganale e monetaria (anticipando l’area Shenghen e l’area Euro) aperta alla Polonia e Cecoslovacchia resuscitate e animata da un «cristianismo sociale». Anche se la maggior parte dei complottisti saranno fucilati dopo il fallimento della cospirazione contro Hitler, le loro idee ispireranno la democrazia cristiana della rinascente Germania e non solo… l’Unione Europea.

Nei concetti, nelle parole e anche nei simboli come «l’Ode alla Gioia», la composizione di Beethoven, attuale inno ufficiale dell’Unione Europea dal 1985, che venne suonato nel 1936 ai Giochi Olimpici di Berlino nel 1936 allapresenzadi Hitler.

Rileggere oggi un po’ di Storia non fa mai male.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.