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8 Marzo: con il velo, senza velo..

Niqab, hijab, burqa: un elemento di abbigliamento, un accessorio, che da gradevole vezzo legato a una millenaria cultura colorata viene utilizzato come strumento in nero per punire e per controllare la donna. Accade in Iran, dove le donne, esattamente come accadde in Afghanistan con il regime dei talebani, sono torturate e vessate con improbabili manipolazioni, come questa: si può morire a causa di una condanna per aver indossato – male – quel che noi chiamiamo semplicemente ‘velo’.

Quel velo, che tanto è importante per le ragazze che vogliono indossare la loro verginità; che vogliono pregare in abito tradizionale; che intendono proteggersi dagli occhi indiscreti di uomini che non conoscono; lo stesso velo – oggi – viene usato per sequestrare le automobili alle donne che sono alla guida, per punire quelle che paiono essere più libere, per mandare al patibolo le attiviste che desiderano vivere alla maniera occidentale.

L’occidente, in questo periodo storico, per motivi che ancora si stentano a vedere e a capire, viene combattuto con tutte le armi possibili, a costo di condannare a morte le proprie donne o di farsi saltare in aria cercando di immolarsi per una causa culturale, non religiosa, ma prima di tutto culturale, poi religiosa, quindi semmai anche politica.

In particolar modo oggi, nella Giornata dedicata alle donne, a tutte le donne, non possiamo non pensarci: le donne islamiche, in occidente, vivono con la libertà di poter indossare il loro costume tradizionale, con il velo, ed è giusto – nei limiti delle leggi europee che vietano i camuffamenti fuori dai contesti privati – che lo possano fare. In oriente, nella loro stessa terra che le ha fatte nascere, invece, no. Possono anche essere costrette a indossarlo. Le leggi cambiano come cambia il vento e questo è pericoloso e gravissimo.

Io credo che se esiste una regola, ed esiste, è quella che non si possono costringere le persone, nella loro sfera privata, a vestirsi in un qualche modo preciso. Il limite tra la libertà di potersi camuffare e la libertà di poter non camuffarsi dovrebbe essere proprio quello del buonsenso. E’ bizzarro un contesto che vuol mettere le donne in sicurezza dagli sguardi del maschio seduttivo, costringendole a inciampare, a incastrarsi nelle ruote delle biciclette e impedendo loro di vederci bene se devono guidare. L’idea è che quel costume, tanto nobile, non sia altro che un modo per limitarne gli spostamenti e per ritirare le patenti, visto che non è certamente il corpo di una donna, oggetto di interesse, ma il ruolo della donna nella società. Sono operazioni condotte affinché la donna non prenda troppo spazio.

E allora, se questa giornata ha un senso, tanto quanto lo ha per difendere le persone come Giulia, che è morta stupidamente, ammazzata da uno squilibrato convinto di amarla meglio da morta, così non può opporsi, lo deve avere anche per le altre donne, quelle che qui indossano il loro costume per scelta personale e quelle che non lo indossano perché non vogliono farlo.

Il caso del velo nelle scuole di Pordenone? I minori – per quanto penso io – non dovrebbero essere sottoposti a obblighi insensati, è ovvio che una bambina in età scolare non deve essere oggetto di interesse sessuale. Tutto questo sarebbe bello che risolto se la smettessimo anche noi occidentali di inculcare ideologie nei bambini. Ogni cosa a suo tempo.

Martina Cecco

Riguardo l'autore

martinacecco

Giornalista e blogger. Collaboro con il web in rosa di Donnissima. Dirigo Secolo Trentino e Liberalcafé. Laureata in Filosofia presso l'Università degli Studi di Trento. Collaboro con un Progetto sperimentale di AI.