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L‘opinione: l’Ulisse di Dante

È da subito necessario precisare che il sommo poeta non conosceva direttamente i due poemi omerici. Ulisse gli arriva dal “mondo latino” (Cicerone e soprattutto Virgilio, che nell’Eneide da simpatie troiane non darà, e non poteva farlo, un buon giudizio sul principe acheo) e Dante s’inventa un episodio estraneo alla tradizione classica e con esso una nuova visione del personaggio Ulisse destinata a sovrascriversi all’Odisseo greco e a modificarlo.

L’Ulisse di Dante è l’uomo dell’oltre, dello slancio, in contrapposizione al «borghese» Odisseo e per usare una categoria cara all’Occidente un Ulisseeroe romantico” e “rivoluzionario” che consuma la propria vita nel nome di un Ideale. Così l’Ulisse di Dante non arriverà mai ad Itaca. Dopo l’anno trascorso presso Circa vira la prora dalla casa: «né dolcezza di figlio, né la pieta/ del vecchio padre, né ‘l debito amore/ lo qual doveva Penelope far lieta,/ vincer potero dentro a me l’ardore/ ch’i’ ebbi a divenir nel mondo esperto/ e de li vizi umani e del valore» (Inferno, XXVI, 94-99).

E oltrepassate le colonne d’Ercole spinge con una “orazion picciola” i suoi compagni “al folle volo”: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza» (118-120). La storia è poi nota: scendono nell’altro emisfero (che gli antichi e i medioevali credessero la terra piatta è una bufala), per cinque mesi navigano “per altro mare aperto” finché giungono in vista di una montagna altissima. Noi lo sappiamo, Ulisse invece non può: é il Purgatorio, e l’allegria della salvezza «tosto tornò in pianto». Ed è dunque Ulisse, e non Odisseo, l’archetipo dell’uomo che allarga il limite della sfera della propria conoscenza, tanto nel macro quanto nel microcosmo. Ma è anche l’archetipo dell’uomo che insegue questa sete anche a costo di ridisegnare e persino rompere il confine, per gli antichi e per Dante ‘’sacro’’, di ciò che è lecito.

Ma, come scrivevo sopra, Ulisse arriva a Dante dal mondo latino. Nelle “Metamorfosi” Ovidio fa dire ad Aiace che Ulisse in quanto figlio di Sisifo è «furtisque et fraude simillimus illi», è un manipolatore, la cui vera arma è la parola e così lo descrivono nei loro poemi i compagni danteschi nell’aldilà, Virgilio («Sic notus Ulixes? – davvero conoscete cosi’ poco Ulisse? – dice Laocoonte ai suoi) e Stazio. Questo è il motivo per cui Dante colloca Ulisse all’Inferno, nell’ottava bolgia, destinata ai consiglieri fraudolenti.

L’Ulisse di Dante è un raffinato sofista, un seduttore, il suo travestimento è nelle parole. Il trascinante discorso del “capitano Ulisse” ai suoi è anche il suo ultimo consiglio fraudolento. È allora davvero “vivere come bruti” la quotidianità del lavoro, l’affetto della famiglia? E se può essere «canoscenza» la volontà di scoprire, Ulisse e i compagni stanno seguendo anche «virtute»? Oppure maschera invece la «hybris», quella “tracotanza” propria dell’uomo che vorrebbe superare i limiti posti dagli dèi?

Così l’Ulisse di Dante viene punito da Dio con la tempesta, l’affondamento e la morte.

di Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.