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L’opinione: il Re è morto, viva il Re!

Stavo pensando che dal 1989 il comunismo non è morto, è mutato e noi non ne abbiamo più paura.

L’eredità di Gorbaciov è soprattutto il passaggio del testimone dal comunismo all’ecologismo, che l’ultimo presidente sovietico promosse sin dal 1990. Fu lui il promotore della «Carta della Terra», base dello “sviluppo sostenibile” ed oggi  chiamato il ‘’Geen Deal’’.

Morto Gorbaciov ma la sua trasformazione del comunismo e quindi la sua ideologia è dominante nell’Occidente. Il comunismo non è morto! Si è trasformato ed ha invaso l’Occidente. Dalla caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 il mondo non è mai più stato lo stesso, ma non perché sia morto il comunismo, bensì la paura del comunismo. Fin da subito infatti, Mikhail Gorbaciov, Premier sovietico e Segretario Generale del Partito Comunista, predico’ in giro per il mondo lo stesso verbo comunista da lui mai disconosciuto, non più in nome della lotta di classe e per l’uguaglianza ma in nome dell’ambiente e avvantaggiato dai lauti mezzi  finanziari raccolti in Occidente, dall’appoggio dell’Onu e dall’ascolto benevolo di tutto il mondo.

Già nel marzo 1990, nemmeno cinque mesi dopo la caduta del muro di Berlino, Gorbaciov ospitava a Mosca un “Global Forum spirituale”, patrocinato dal Soviet Supremo, dalla Fondazione internazionale per la Sopravvivenza e lo Sviluppo dell’Umanità e dal Comitato Globale ONU dei Parlamentari per la popolazione, radunando, tutti spesati, 700 leader parlamentari e “spirituali”, 50 giornalisti, 20 uomini d’affari internazionali, scienziati e leader del mondo artistico e culturale. Significativo il titolo, Global Forum of Spiritual and Parliamentary Leaders for Human Survival, uguale al Forum organizzato due anni prima dall’ONU a Oxford, con al centro dell’attenzione le teorie di John Lovelock sulla fragilità della Madre Terra, “Gaia” (teoria da cui com’è noto in anni recenti Lovelock ha preso totalmente le distanze).

Il problema per “Gaia” consisteva chiaramente nell’essere umano, come confermò il vertice moscovita aprendo i lavori con le parole di Lester Brown del World Watch Institute, l’istituto più attivo nel mondo a diffondere la paura della sovrappopolazione: “Ogni secondo che passa un acro di foresta sparisce per sempre dalla faccia della terra. Ogni anno perdiamo 24 miliardi di tonnellate di terriccio dalla superficie terrestre e guadagniamo 90 milioni di nuovi abitanti del pianeta.” Da queste premesse catastrofiche prese il via l’attività divulgativa di Gorbaciov ecologista, impegnato ad avvertire l’umanità che non c’è più tempo da perdere, che la catastrofe planetaria è imminente, che l’uomo ha consumato quasi del tutto le risorse disponibili per sé e per le generazioni a venire, e che è quindi ora di mettere tutto il mondo sotto sorveglianza facendo cambiare a tutta l’umanità gli stili di vita e perfino i modi di pensare e di comportarsi. Non usava la parola rivoluzione ma evidentemente il concetto era lo stesso. Da notare che i rimproveri di Gorbaciov erano diretti prevalentemente all’Occidente, anche se i peggiori disastri ambientali, dal Lago Aral a Chernobyl, erano stati prodotti dal socialismo reale, e la Repubblica Popolare Cinese era già al secondo posto nel mondo per l’inquinamento.

Due anni dopo il suo Forum di Mosca 1990 Gorbaciov non era più ai vertici del Cremlino, ma fu invitato, come vedette, al “Vertice della Terra” organizzato dall’ONU a Rio de Janeiro. Qui, a differenza del precedente vertice di Stoccolma, l’essere umano venne presentato come il problema anziché come la soluzione. In più, si tenne per la prima volta un vertice parallelo per sostenere con cerimonie New Age “l’energia” del vertice ufficiale: una presenza divenuta quasi tradizionale di fianco a questo tipo di vertici, ma quasi mai riportata dai giornali malgrado il suo incipit: “Credo nel cosmo. Tutti noi siamo collegati al cosmo. Così la natura è il mio dio. Per me la natura è sacra. Gli alberi sono i miei templi e le foreste sono le mie cattedrali. Essere tutt’uno con la natura”. Non a caso dal 1996, sul modello di quel primo Forum a Mosca, la Fondazione Gorbaciov ha cominciato a organizzare degli “State of the World Forum” fortemente improntati alla New Age a partire dal pot pourri degli invitati: da Shirley MacLaine a Margaret Thatcher, da Desmond Tutu alla Regina Noor di Giordania, unitamente ai famosi guru del New Age e a Premi Nobel. Questi incontri elitari ai quali si partecipa per invito e pagando moltissimo (dai 5000 dollari a testa già al primo Forum siamo passati ai 10000 attuali) sono proseguiti a cadenza quinquennale, uscendo però gradualmente dal radar della grande stampa.

La radice di questa fede immanentistica nella natura si trovava già nel regime sovietico, che era percorso da una spiritualità chiamata “cosmismo”, forma di panteismo materialista molto diffuso nella comunità scientifica e nell’ente spaziale sovietico (il che spiega la famosa esclamazione di Yuri Gagarin che orbitando nello spazio esclamò “Non vedo nessun dio qui!”). Il cosmismo ha una lunga storia che precede la rivoluzione del 1917 e si intreccia con la teosofia, forma di spiritismo che ispira esponenti delle Nazioni Unite come l’ex Vice Segretario dell’ONU, Robert Muller . La parentela del cosmismo con la New Age risulta chiara dal titolo della Conferenza scientifica internazionale tenutasi a Mosca nel 2003, “La concezione cosmica del mondo è una nuova facoltà mentale del XXI secolo” che ha pianificato gli obiettivi per la diffusione di nozioni inerenti alla mentalità cosmica (criticata da Alexander Dugin), fra cui la costituzione di musei e centri scientifici e l’inserimento di argomenti nei programmi scolastici. Fu deciso anche di esercitare pressioni sul segretariato dell’ONU perché si adoperasse per far sviluppare questa “nuova facoltà mentale”. Non sorprende quindi che al Vertice di Rio, oltre all’organizzazione Green Cross, Gorbaciov abbia presentato anche la prima stesura della “Carta della Terra”, da lui elaborata insieme al miliardario “verde” Stephen Rockefeller e a Maurice Strong, poco noto al grande pubblico ma legato a doppio filo all’ONU.

La «Carta della Terra». Si tratta di un documento che vorrebbe istituzionalizzare a livello planetario l’ipotesi “Gaia”, con ambizioni parareligiose che non sono lasciate nell’ambiguità. Gorbaciov ha dichiarato di sperare che questa Carta “dia una sorta di Dieci Comandamenti, un ‘Sermone sulla Montagna’ che sia da guida al comportamento umano verso l’ambiente.” Modificata e integrata negli anni, la Carta della Terra è imbevuta dei principi New Age ma li ammanta di concetti tipicamente cristiani quali umiltà, colpa, rinuncia, spirito di sacrificio e senso del dovere, per invitare l’essere umano a salvaguardare il pianeta soprattutto da … se stesso. Viceversa, all’animale-uomo, il più indifeso fra i mammiferi, la Carta impone di accettare l’assunto che “ogni forma di vita è preziosa, indipendentemente dal suo valore per gli esseri umani”. Il concetto sprezzante dell’umanità che ne discende si chiarisce appieno quando si arriva a invitare la specie umana ad assumere un atteggiamento “responsabile” rispetto alla propria riproduzione e, allo stesso tempo, a “salvaguardare le capacità regenerative della Terra”.

Sospinta dall’approvazione ufficiale dell’UNESCO in quanto “cornice etica per lo sviluppo sostenibile”, la Carta della Terra viene presentata oggi non come documento calato dall’alto, ma come documento collettivo scritto da migliaia di persone insieme, ovviamente “per un mondo sostenibile”. Di tutta questa attività, al centro della riprogrammazione in senso biocentrico del mondo, sui giornali leggiamo poco e nulla. Eppure sarebbe importante sapere che con la Fondazione Gorbaciov le strade del marxismo-leninismo e quelle dei verdi si incrociarono in una sorta di eco-leninismo che conduce alla comune meta del controllo e la de-industrializzazione dell’Occidente, come vorrebbe la politica attuale dell’Unione Europea.

In comune alle due ideologie, quella verde e a quella comunista, ben visibile ma mai oggetto di accuse, per via dell’aura sacrale di cui era avvolto “Gorby”, c’è la chiamata al regresso, alla rinuncia volontaria alle proprie libertà e alla pianificazione centralizzata. L’Occidente, che aveva salutato con incredulità e giubilo l’inaspettata demolizione del muro di Berlino il 9 novembre 1989, ne aveva attribuito il merito al Premier sovietico dal volto sorridente. Guastafeste fu solo l’ex-dissidente sovietico Vladimir Bukovsky, che scrisse in un libro ben documentato degli anni Novanta – ma pubblicato in inglese solo nel 2019 – che la resa dell’URSS era stata pianificata dal Cremlino di Gorbaciov, d’accordo con gli euro-comunisti, fin dagli anni Ottanta: una specie cavallo di Troia per indurre il mondo libero a fidarsi di loro. Tuttora il suo monito è conosciuto da pochi e creduto da pochissimi.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.