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Indipendenza! Liguria, un futuro da ricostruire

Il risultato delle recenti elezioni regionali liguri viene considerato una disfatta per Indipendenza!, anche se il termine pare inappropriato. Infatti la Waterloo implica una battaglia tra eserciti ad armi pari o almeno compatibili; mentre in questo caso il partito, sorto da meno di un anno, lottava sostanzialmente per la visibilità, costituendo l’iscrizione alla contesa elettorale l’unico modo per essere invitati dai media e poter comunicare programmi e opinioni.

Ciò detto, personalmente ignoriamo cosa realmente si attendessero i cosiddetti attivisti, ma proveremo a fare la breve storia di questo cammino.

Il movimento si sviluppa in modo magmatico, ove l’unica figura certa è quella del segretario nazionale Gianni Alemanno: un politico di lungo curriculum, a suo stesso dire “sceso dal carro dei vincitori” (di FDI, ovviamente), servito solo da alcuni volenterosi nella nuova avventura politica.

In Liguria il semplice iscritto, come chi scrive, non viene messo al corrente dell’organigramma delle cariche e si relaziona vagamente con i singoli di qua e di là dal capoluogo in cui vive, che appare sguarnito: né gli interessati hanno mai inteso nemmen presentarsi.

Il risicato spazio a disposizione, quello dei cittadini stanchi dei balletti della vecchia politica, è peraltro occupato da alti soggetti più noti e impegnati anche nella comunicazione in rete, di cui è inutile fare i nomi: per quanto tutti siano rimasti tagliati fuori dai seggi, hanno riportato un consenso, benché ridotto, più vicino a quello di una speranza nel futuro.

Alla domanda se non era possibile una comunione di intenti con questi gruppi, la risposta era sempre la stessa: la “base” era contraria, avversava alcuni esponenti dai trascorsi opposti a quelli dei militanti di “Indipendenza!” e preferiva il purodurismo.

Di fatto è successo che la caduta della giunta regionale ha accelerato le tempistiche per l’accesso alla competizione, inducendo a compilare le liste con persone che, spesso, non si conoscevano nemmeno vagamente e non avevano avuto la possibilità di confrontarsi almeno una volta e sia pure solo on line. Questo vulnus si è pertanto trascinato fino ai giorni nostri.

Un ulteriore problema è stato rappresentato dalla totale mancanza di rapporto con i media locali, fatte salve alcune iniziative singole sul fronte rivierasco, peraltro su temi da discutere prioritariamente negli organismi e di ben scarsa presa, se non supportate da una risonanza più ampia.

Si è dunque arrivati alla election day con un’organizzazione inesistente e una scarsa disponibilità all’impegno nelle attività “on the road”, scaricate sui pochi di buona volontà, nonostante il frenetico andirivieni del segretario e del candidato governatore Alessandro Rosson, nemmeno loro purtroppo riusciti a sfondare il “fronte del porto”: ove l’abboccamento andava preparato dai dirigenti locali (ma quali sono?) per non risultare, come in effetti è stato, un momento di ricezione di felpate contumelie da parte del ras locale.

Si notava molta sufficienza verso le situazioni di degrado cittadine, con una redazione di comunicati appiattiti su slogan cigiellini piuttosto che alternativi alle solite vulgate (per esempio sulla sanità); e un turbolento disappunto per l’immigrazione selvaggia, senza il desiderio, che sarebbe una necessità, di affrontare in profondità il problema ormai emergenziale.

I contributi di chi scrive questo articolo, candidata per dovere di servizio, sono stati ignorati, anche con la motivazione “decide tutto Roma”. È mancato del tutto il coraggio di fare chiarezza sui temi sensibili e gli argomenti divisivi. Mancava un leader. Le elezioni sono una “chiamata alle ami” a cui nessuno aveva il diritto di sottrarsi, ma alcuni pseudo notabili si sono sfilati nell’indifferenza generale.

E allora, siccome decide tutto Roma, la “dirigenza” locale, mai eletta né comunicata formalmente e poco affiatata sostanzialmente già prima del 27 ottobre, prima convoca un direttivo di cui l’iscritto era rimasto all’oscuro (e sì che non siamo un’enormità); dopo qualche giorno organizza una pizzata, per fortuna disertata da chi scrive, apparentemente per riprendere il percorso (le sortite in pizzeria hanno superato di gran lunga le riunioni programmatiche, per diverse a zero); e nei giorni scorsi annuncia dimissioni da cariche mai ufficialmente rivestite.

Purtroppo tocca ammettere che impreparazione, disorganizzazione e infingardaggine l’hanno fatta da padrone, portando verso un fallimento non elettorale (largamente prevedibile), ma tutto interno a un partito che dovrà ricominciare, almeno in Liguria e se lo vorrà, su ben altri presupposti.

Carmen Gueye