La cantilena del patriarcato è appena iniziata e non promette di terminare presto: troppo succulento il tema, troppo funzionale a una certa narrativa di parte, troppo facile per agganciare follower e acchiappare posti in televisione e parti in un film.
Come è iniziata la storia dei rapporti uomo/donna? La metaforica leggenda di Adamo ed Eva ci porge una relazione squilibrata a favore di lei, manipolatrice e causa scatenante della punizione sul genere umano: un attacco giudicato, a partire dagli anni Settanta, sessista e misogino, oggi demonizzato quasi come origine del cosiddetto “femminicidio”: altro termine abusato, ma di grande effetto quando si tratta di carpire attenzione e consensi.
Le antiche comunità, definite appunto “patriarcali” non avevano difetti maggiori di quelle di qualunque altra arrivata prima – come alcune matriarcali conosciute per esempio nei mari del sud – e anche giunte dopo, ricordando le comuni hippy e gli esperimenti sociali libertari, i cui effetti non sono mai stati veramente testati.
L’era preindustriale aveva esigenze diverse che alcuni di noi, boomer, hanno conosciuto e talvolta vissuto. La donna, come biologia vuole, addetta alla procreazione, godeva per tale funzione del rispetto generale, riservato invece ai maschi quando essi mostravano doti di coraggio e ardimento nelle guerre che venivano frequentemente chiamati a combattere; o nel lavoro di fatica che spesso si trovavano a svolgere.
La semplificazione è d’obbligo, ma la vita è stata dura per tutti, segnatamente per la famiglia – e la coppia – tradizionale, che hanno portato il peso delle responsabilità sociali, costituendo l’impalcatura del vivere civile e l’obiettivo delle critiche. Occorreva appartenere alle categorie “off” per poter sfuggire a tale giogo: artisti, intellettuali, potenti di turno.
Il ’68 ha sconvolto i criteri comportamentali, per quando di facciata, vigenti fino a quel momento, e creato la “sex war” che lentamente, impercettibilmente, ha creato un solco tra i generi, in questo aiutato dalle sottili strategie mediatiche.
La manipolazione delle menti non è uno scherzo e si avvale di molte falangi armate, che intervengono con vari metodi e ruoli complementari, alternandosi nello spazio e nel tempo, con il contributo di lobby e gruppi di pressione più o meno occulti: con il fine di deformare sin dalla nascita il naturale corso della crescita e dello sviluppo psicofisico degli infanti, lavorando poi di cesello mentre nel pubblico dibattito si affacciano le nuove generazioni, già orientate a dovere, perché non abbiano mai a voltare lo sguardo verso un’altra realtà, da analizzare con la propria testa. Si chiamava pensiero liquido, ma oggi non è nemmeno più un pensiero.
Venendo ai giorni nostri, è rimarchevole l’influenza esercitata da programmi come “Amore criminale” sugli inermi spettatori.
La violenza domestica è questione complessa e antica, che scomoda analisi freudiane e sinossi sociologiche, non potendo liquidarsi come affare tra maschio e femmina.
E’ di tutta evidenza che spesso, in realtà, tali situazioni non hanno carattere domestico, trattandosi di vicende non coniugali né di convivenza, ma di contrasti tra persone nemmeno “fidanzate” in senso classico, spesso compagni d’avventura e neppure in esclusiva. Ove si tratti di coppia vera e propria, spesso si trascura la situazione pregressa: debiti, dipendenze, liti in seguito a separazioni per l’affidamento dei figli.
Giovanotti dalla psiche sbrindellata, dediti a ogni sorta di divagazione (lecita ma non salutare) e ragazze che ne seguono l’esempio, non sono destinati a fare molta strada insieme; considerando poi la condotta di chi sta loro intorno, a dir poco curiosa, come quella dei parenti Cecchettin, lo scenario apre a molte spiegazioni da contesto, regolarmente soffocate dal giornalismo nostrano.
Infatti i comportamenti aggressivi, da stalking a violenza estrema, sono spesso il frutto dell’indifferenza ai sentimenti e alle emozioni altrui. La diseducazione al rispetto e l’interazione da reality show portano le giovani anime a nutrire l’ego con veleno dell’odio, che troverà soddisfazione solo in una crescente ostilità verso chi è più vicino.
Si aggiunga, da ultimo ma non ultimo, che quel che realmente accade non ci viene raccontato né mostrato: una macchia di sangue, un coltello, un video accuratamente selezionato, un’intercettazione monca, e il gioco è fatto. Scaturiscono a ruota film e fiction dalla trama improbabile, ma lanciati a bomba su tutti i canali, che sigillano e siglano la fine di una società, quella italiana.
Perché oggi, a parte la virulenza degli attacchi al generale europarlamentare Vannacci sull’unico tema del sesso arcobaleno, come non esistessero problemi di ben più grave portata, il dibattito non si occupa più del rapporto tra uomo e donna, da rigenerare su nuove basi; ma punta, con prepotenza verbale corale e individuale, ad annullare qualunque ragionamento basato sulla soluzione di un problema di affettività, per reimpastarlo, triturarlo nella betoniera dei “diritti calpestati”, laddove gli unici che realmente lo sono riguardano lo scarso supporto alla famiglia, per chi ancora ha voglia di costruirne una: che durerà quanto possono durare le cose umane (e che nessun tipo di family alternativa potrà superare).
Il nostro problema non è Roberto Vannacci, ma un’idea di futuro che non esiste o che, se c’è, a giudicare da certe premesse, è la fine del genere umano.
Carmen Gueye